C I N Q U E

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Si fecero presto le 15:00 ed io dovetti immediatamente correre da Rebby in struttura.
Afferrai la borsa e mi avviai da lei, entusiasta.
Quando suonai il campanello non esitarono ad aprirmi all'istante. Fui travolta dall'abbraccio di mille bambini, erano diventati un po' come i miei fratelli più piccoli. Solo Federico non veniva mai da me quando c’erano tutti gli altri. Con quell'aria tutta imbronciata e le braccia sempre aggrovigliate al petto mi guardava con lo sguardo inquisitorio quando i ragazzini mi accoglievano in quella maniera trionfante. Lui amava lasciarmi bigliettini nella borsa: così mi dimostrava affetto. A modo suo mi voleva un gran bene, e a volte, quando tutti scendevano giù in cortile per giocare  lui rimaneva sempre chiuso in camera sua, perché sapeva che io sarei corsa da lui. Gli lasciavo un post-It sotto la porta con su scritto "Posso entrare?"; e dieci secondi dopo subito mi apriva la porta e si gettava tra le mie braccia. Ci sdraiavamo a terra raggomitolati su un mucchio di coperte di flanella, gli cantavo spesso una canzone e lui aveva la strana abitudine di rannicchiarsi sul mio petto e contare a bassa voce i battiti del mio cuore. Molte volte gli chiesi perché faceva così, ma ignorava le mie domande e continuava a contare: 10, 20, 30.. 
Un pomeriggio mi allontanai e lo penetrai con gli occhi, gli rivolsi la solita domanda e fui stupita dall’immediata risposta che ottenni.
"Mi chiedi sempre perché io conto i battiti del tuo cuore. Beh, mi piace pensare che il suono della mia mamma viva ancora in qualcuno. Infondo di lei solo questo mi è rimasto.  Se n’è andata e non mi ha lasciato nulla. All’improvviso è scomparsa e io mi sono ritrovato in un mondo troppo grande per me. Però  sentire  il tuo cuoricino mi fa pensare che, da qualche parte, c’è ancora qualcosa che batte per me." Sentire queste parole uscire dalla bocca di un bambino di 8 anni mi stracciarono l'anima non in due, ma in mille pezzi. Da quel momento capii che Fede aveva bisogno di una famiglia, e quella famiglia forse ero io. Dovevo salvarlo i qualche modo, questa era la promessa che mi ero fatta.


Quando finalmente riuscii a liberarmi dalla stretta di tutti quei bambini, intravidi Rebby in fondo al corridoio che mi guardava nascondendo un piccolo sorriso malizioso. I miei e i suoi occhi s’illuminarono come non mai prima d’ora. Lei aveva qualcosa di speciale, io l’avevo capito da subito. Chioma rossa, come il sangue che sua madre aveva versato per lei sotto le grinfie di quel mostro di cui lei non parlava mai; occhi  teneri, come un cerbiatto che era stato appena tratto in salvo dal suo piccolo branco e , infine, sorriso smagliante, come quello di una guerriera che fieramente sfoggia la sua armatura. Il reale problema era cosa c’era sotto quella splendida corazza intagliata nell’acciaio. 
La sua voce squillante mi riportò subito alla realtà.
Mi corse incontro e mi strinse talmente forte che mi tolse il fiato. Appena mi lasciò mi diede un piccolo colpo sulla spalla, come rimprovero per non averla avvisata di ciò che era successo la notte precedente. 
Mi trascinò di colpo in camera sua, chiuse a chiave la porta e socchiuse le tende con fare minacciatorio.
La guardai di sottecchi e nel momento  in cui stavo per aprire bocca nel tentativo di dirle qualcosa il suo sguardo mi trafisse, ed ecco che mi rivolse la fatidica  domanda:
“Allora cosa diavolo è successo?” 
Non esitai nemmeno un secondo, e dalla mia bocca iniziarono a sgorgare mille parole. A fine racconto rimase muta con gli occhi lucidi. Non sapevo esattamente perché  lei stesse piangendo, non lo  faceva quasi mai ne ero convinta; o almeno con me non l’aveva mai  fatto. Le andai vicino pensando che non si sentisse bene e lei mi poggiò una mano sul petto. 
“lo senti?” mi disse. 
La guardai perplessa, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Era la prima volta da quando la conoscevo che il suo linguaggio gestuale era completamente  indecifrabile. Le posai anche io una mano sul petto e iniziò a piangere più forte di prima, come un fiume in piena. Cosa avrei dovuto  fare? Era colpa mia se si sentiva così adesso? Completamente impotente  dinanzi quel pianto presi l’orlo della mia canottiera e le asciugai le lacrime. Lei alzò la testa e mi sorrise: adesso sì che  la riconoscevo. Ci sedemmo ai piedi del letto, su di un mucchio di coperte aggrovigliate, e cercai di fare tutto ciò che era in mio potere per calmarla. Appena smise di singhiozzare mi prese le  mani ed iniziò a stringerle fortissimo, poi finalmente  parlò.
“Non mi guardare come fossi un alieno”. A quelle parole scoppiammo in una fragorosa risata e la abbracciai fortissimo nell’attesa che dicesse altro.
“Mi sento bene tranquilla, solo  che il tuo racconto mi  ha fatto emozionare. Non pensavo un ragazzo potesse organizzare tutto questo solo per far colpo. Lo sai perchè prima ho posato  la mia mano sul tuo petto e  ti ho chiesto se lo sentivi? Mi riferivo ai battiti del cuore.
Solitamente quando una persona è innamorata fanno talmente rumore che riecheggiano all’esterno. 
Mentre raccontavi quella storia i tuoi erano così assordanti che hanno suonato le corde emotive della mia anima. Se ti rende davvero felice Nat, seguilo fino in capo al mondo. Un amore grande non trova ostacoli, non ha riserve né limiti. Ricorda bene queste parole.”

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 14, 2020 ⏰

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