Capitolo Uno - Antartide

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Il mio nome è Luna, ho 19 anni e vivo in una piccola provincia, sono una ragazza come tante, l'unico particolare che mi rende 'speciale', così dicono gli altri, sono i miei grandi occhi cerulei, azzurri in una giornata di sole, grigi quando il cielo si intristisce, e quasi trasparenti quando l'acqua ci si specchia sopra.
Non credo che mi rendano poi tanto speciale, quando dici continuamente che una cosa è speciale, la rendi noiosamente normale.
Noiosamente penso sia il mio termine preferito, mi annoio spesso e volentieri, mi annoia la routine, mi annoiano le persone, mi annoia questa città così mediocre e monotona, vorrei vivere di avventure, viaggi e nuove scoperte.
Mi guardo allo specchio 'forse dovrei tagliare i capelli' penso.
I miei capelli amaranto arrivano poco sopra le fossette di venere; amo i miei capelli più degli occhi, nessuno pensa che siano 'speciali' e questo ai miei occhi li rende tali.

Fuori piove e io odio tremendamente la pioggia, mi rende triste, è incredibile come il tempo fuori possa influenzare le mie emozioni a tal punto; se c'è il sole mi alzo consapevole che sarà una bella giornata, ma oggi no.
"Alexa riproduci Antartide" dico arrivando in cucina per la colazione.
- "Buongiorno! Oh Luna, ancora questa musica? E ancora quei Jeans? Perché non metti un vestitino.. o una gonna? Ti aiuterebbe nella ricerca"
- "Mamma, pensi che scoprire le gambe mi aiuterebbe nella ricerca di un lavoro?"
- "no, dico solo che ti farebbe sembrare più elegante e professionale"
Mia madre è una brava donna e mi vuole bene, ma è figlia di una società maschilista e bigotta, ricolma di pregiudizi e di standard stupidi e noiosi.
- "Io credo che ti sbagli, sono le mie qualità a dover essere notate, non la mia eleganza"
- "Ho la sensazione che fai le cose solo per il piacere di contraddirmi alle volte. Spegni la musica per favore, ho mal di testa"
Non le do' nessuna risposta, questa giornata è già cominciata male, spengo Alexa, prendo le cuffie che attacco al mio vecchio iphone ed esco di casa senza nemmeno salutare.
Da quando mio padre è morto 3 anni fa è tutto diverso... sul viso prima perfetto di mia madre sono spuntate delle rughe profonde, come se le sue lacrime avessero solcato cicatrici indelebili, rivelando al mondo il suo dolore, troppo grande per restarle dentro.
Anche io sono cambiata, all'apparenza sono sempre la solare Luna, che ride per poco e si sorprende delle piccole cose, ma dentro è freddo, dentro è sempre inverno, come in Antartide e a scaldarmi credo che non ci riuscirà più nessuno.
Questa combo di dolore ha fatto sì che io e mia madre ci allontanassimo sempre di più, fino a non capirci l'un l'altra, un tacito consenso nel nostro cercare disperatamente di scordare quel dolore continuo e assordante, cercando di superarlo da sole, come se fosse possibile.
'ma giuri che tra un po' te ne andrai aiaiaiai e alla fine però non lo fai mai'
E' come se questa canzone fosse la storia della mia vita, a 13 anni sapevo già di volere andare via da qui per studiare al conservatorio, in una grande città, sarei diventata una cantante... mio padre mi iscrisse a delle lezioni di canto, comprò una chitarra e imparò a suonare... mi faceva da accompagnatore e sognava insieme a me il post-diploma, quando avrei iniziato a realizzare il mio sogno.
Eravamo complici sempre, e forse è per questo che quando se n'è andato ha portato via anche quella parte di me. Ad un tratto il mio sogno mi è sembrato stupido e superficiale, inutile e brutto, amavo la musica come pochi e la odiavo come nessuno.
Mentre penso i miei piedi vanno da soli, conoscono la strada a memoria. I miei capelli sono fradici e i miei vestiti anche ma non me ne rendo conto, mi guardo intorno, questa stupida città è vuota.
In un vicolo caratteristico del mio centro città vedo due persone che stanno discutendo, continuo a camminare appena sorpasso il vicolo la canzone finisce e sento un rumore che mi fa rabbrividire venire proprio da lì.
È un cazzotto senza dubbio, seguito da un tonfo e un grido strozzato.
D'istinto torno indietro, mi infilo nel vicolo e vedo un ragazzo chino su un altro mentre lo prende a pugni, non posso chiamare aiuto e non posso lasciare che lo ammazzi, devo fare qualcosa... ora.

La più grande libertà è quella che ci tiene in cateneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora