1 - La festa (I)

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Quattro mesi prima

Le luci stroboscopiche si rincorrevano sulla mia pelle fino a perdersi tra le trame del mio maglioncino azzurro. Mio... Mio non lo era affatto, a dire la verità. Un nuovo regalo da quanto ero arrivata a Danvers, giusto per uniformarmi a quella strana cittadina. A quel pensiero, sollevai gli occhi al cielo, mentre sistemavo il cellulare ancora incastrato tra l'orecchio e la spalla.

Cinque, sei, sette squilli... A malapena riuscivo a sentirli con tutto quel rumore, ed ecco che subito scattava la segreteria telefonica. Perché nessuno rispondeva mai, quando ero io ad aver bisogno di loro? Caleb risultava irraggiungibile, Dean uguale. Non sapevo neppure perché ne fossi stupita: da quando avevo messo piede a Danvers, questa si stava rivelando la serata più lunga e assurda a cui avessi partecipato.

«Alice, mi ricordi perché siamo in questo posto?» urlai all'orecchio della ragazza accanto a me.

L'interno della casa era un'esplosione di corpi che si muovevano in sincronia scivolando tra di loro, seguendo il ritmo martellante di quella canzone, sparata a tutto volume dalle casse appoggiate sul tavolo di cristallo. Era un bene che il posto in cui si teneva la festa fosse immerso in campi di granoturco, altrimenti i vicini sarebbero già arrivati scortati da un plotone di forze dell'ordine.

Alice avvolse il suo braccio attorno al mio collo, facendomi scivolare lungo la spalla il maglioncino che mi aveva prestato. "Ti vesti sempre di nero" era stata la sua accusa e, prima che potessi rendermene conto, mi aveva infilato una specie di top che lasciava scoperti parecchi lembi di pelle. Sarebbe stato magnifico, se a indossarlo fosse stata lei. Io invece sembravo nuotare dentro quel tessuto finemente ricamato, che scorreva liberamente sulle mie clavicole e, per l'ennesima volta, mi ritrovai a risistemarmelo addosso, riponendo al suo interno con cura la collana che portavo.

«Siamo qui per dimostrare a Dean che non ho più otto anni» biascicò, portando alle labbra l'ennesimo shot di tequila.

Aspettai a malapena che finisse di berlo, prima di strapparle il bicchierino dalle mani. Sapevo che altrimenti lo avrebbe semplicemente lasciato cadere, proprio come aveva fatto con gli ultimi tre. Aveva superato il limite da un pezzo. Era evidente dal modo in cui il suo caschetto nero era arruffato e dalla spessa linea di eyeliner, ormai sbavata verso la guancia. Tuttavia, non sapevo esattamente come comportarmi: la conoscevo da un mese scarso e, nonostante fosse praticamente la mia unica amica in quel paesino agricolo del Massachusetts, non ero abbastanza in confidenza da ordinarle di smetterla.

«Dean sa che non hai otto anni» le spiegai pazientemente. O almeno, generalmente ne dimostrava qualcuno di più.

Alice a volte era solo... Solo un po' troppo impulsiva. Non pensava spesso alle conseguenze delle sue azioni, forse perché generalmente non si ritrovava a doverle gestire. Tuttavia, non era completamente irresponsabile. Aveva solo una parlantina un po' troppo esuberante, che spesso la cacciava nei guai. In ogni caso, mai, mai in quei trenta giorni, da quando mi ero trasferita lì, aveva perso il controllo in quel modo.

Avevo quindi il sospetto che fosse successo qualcosa quel pomeriggio... Qualcosa che coinvolgeva proprio quel ragazzo, con il quale si tormentava da quando avevano quattordici anni: Dean. E sapevo anche che quell'ipotesi non fosse poi tanto campata per aria, dal momento che l'avevo trovata fuori dalla mia porta, scalpitando per imbucarsi all'ennesima festa.

«Sai, ho un'ottima idea» ripresi sorreggendola per il gomito, «andiamo a cercarlo e spieghiamoglielo insieme.»

Ero una pessima amica. Pessima, davvero. Avevo avuto la mezza idea di mentirle sull'orario, fingendo che fossero le quattro di notte e non appena l'una, in modo da poterla riportare a casa e chiudere quella serata tremenda. Ma Alice aveva un voluminoso orologio digitale al polso destro, che pareva l'insegna luminosa di un casinò. Non sarei mai riuscita ad imbrogliarla.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora