Parte senza titolo 3

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Il sole splendeva già alto in cielo quando mi svegliai; aprii gli occhi e guardai l'orologio scoprendo che erano le 10:37. "E' tardissimo, devo muovermi se voglio sbrigare tutte le commissioni che mi ero prefissato" pensai un po' arrabbiato con me stesso per aver dormito così tanto. Così, barcollante e con gli occhi ancora gonfi di sonno, mi alzai e mi diressi verso il bagno. Come da routine, misi la mia playlist preferita su Spotify e mi buttai in doccia. Mentre l'acqua calda rilassava i miei muscoli e risvegliava il mio corpo, la mia mente cercava di fare ordine tra i vari impegni della giornata. Spensi l'acqua, uscii dalla doccia e infilai l'accappatoio. Ancora gocciolante, mi diressi in cucina per prepararmi la colazione; una volta fatta partire la macchinetta del caffè, mi versai del succo d'arancia e, appoggiato al bancone della cucina, aprii la finestra e mi persi a guardare il panorama. Abitavo in una di quelle piccole villette a schiera tipiche dei film americani, quelle con il prato all'inglese, la staccionata bianca appena riverniciata e la cassetta delle lettere all'inizio del vialetto d'ingresso. Mancava solo un cane a sonnecchiare sul porticato, ma riuscivo a badare a me stesso sbadato come sono. Figuriamoci ad occuparmi anche di un altro essere vivente. Era una giornata splendida, la luce del sole sul viso era calda e sentivo la brezza "mattutina" sulla pelle. Sentivo il tagliaerba del mio vicino Matthew Bradley correre avanti e indietro per il suo giardino; lo passava ogni giorno alle 10:00 puntuale come un orologio svizzero, abbiamo sempre pensato tutto che tenesse più a quel giardino che a sua moglie Rose. Ed eccola lì, comparire sull'uscio di casa: era la classica casalinga d'alto borgo, vestiti rigorosamente a motivi floreali, il grembiule bianco immacolato pieno di fronzoli, un'acconciatura impeccabile come fosse appena uscita dal parrucchiere ed una torta appena sfornata in mano. Nel frattempo, mentre osservavo i miei vicini ripetere quelle che erano le loro abitudini giornaliere, sul marciapiede davanti a casa mia vidi avvicinarsi Bertha, la postina del paese. Era una di quelle persone che hanno sempre un sorriso ed una buona parola per chiunque, dolce quanto uno zuccherino e pettegola come nessuno altro. Del resto, era utile scambiare quattro chiacchiere con lei se volevi tenerti aggiornato sulle ultime novità del paese. Mi vide affacciato alla finestra e alzò la mano avvicinandosi alla mia porta, così mi diressi alla porta d'ingresso. Prima ancora che potessi aprire, la sentii esclamare;"Mathias Collins, è profumo di caffè quello che sento?". Sorridendo, aprii la porta e vidi un tornado in miniatura dirigersi verso la cucina. Chiusi la porta e la raggiunsi in cucina, dove la trovai già seduta su uno degli sgabelli con due tazze di caffè fumante davanti a lei. "Buongiorno anche a te Bertha." le dissi sorridendo, mentre mi siedevo dall'altro lato del bancone. La guardai e, come ogni volta, mi venne da sorridere. Raggiungeva a stento il metro e cinquanta d'altezza, ma compensava con la sua criniera nera e indomata che le incorniciava il viso. Il suo viso era quello di una ragazza genuina, cresciuta in fretta con quattro fratelli da accudire, sempre pronta a dare una mano ma la fronte sempre corrugata tradiva l'essere sempre troppo insicura di sè essendo sempre troppo preoccupata per gli altri e non per sè stessa. Mentre rovistava nel suo enorme borsone iniziò a dire qualsiasi cosa le passasse per la testa:"Allora, oggi appena stacco ti raggiungo qui a casa e dobbiamo assolutamente andare a fare shopping. Ho un assoluto bisogno di un nuovo vestito, stasera devo uscire con quel ragazzo che ho conosciuto al Verry's, ricordi? Poi andiamo da me, ceniamo insieme e mi aiuti a decidere cosa mettere.". Accendendomi una sigaretta, le dissi:"Non volevi mettere a tutti i costi quello che avevi su ieri sera? Dicevi fosse il vestito perfetto perchè ti slanciava?". "L'avrei fatto se ieri sera, in preda ad una risata, non mi fossi versata l'intero calice di vino rosso addosso, ed essendo che siete stati tu e Michael a farmi ridere, mi sembra doveroso da parte tua assecondare ogni mia richiesta per farmi perdonare." mi disse con fare scherzosamente minaccioso. Liberando una risata spontanea, mi alzai e l'abbracciai:"Anche per questo sei la mia migliore amica da quando eravamo ancora in fasce.". Detto questo, finalmente tirò fuori dal suo borsone le mie lettere, si alzò e mentre tracannava il caffè tutto d'un fiato avviandosi verso l'uscita. Sulla porta, mi diede la tazza e mi disse puntandomi il dito sul petto:"Sarò qui alle 16:00 in punto, vedi di essere puntuale o rimarrai senza cena stasera. Sono io la donna tra i due, come mai sono sempre io a dover aspettare che tu sia pronto?". Sbuffando, uscì e si diresse verso la strada pronta a farsi offrire l'ennesimo caffè dalla prossima vicina curiosa di scoprire cosa fosse successo di nuovo. Sorridendo chiusi la porta e corsi in camera per prepararmi. Aprii l'armadio, presi uno dei mille jeans tutti pressochè uguali ed una maglietta nera. Mi vestii, mi guardai allo specchio e, ritenendomi abbastanza presentabile nonostante i capelli scompigliati da sonno, decisi di far incominciare la mia giornata. La prima commissione della giornata era dirigermi al Journey's News, il giornale per cui lavoravo da cinque anni, così infilai un paio di scarpe da ginnastica di corsa e presi le chiavi della macchina; dopo aver chiuso casa mi diressi verso la macchina. Mentre facevo manovra per uscire dal vialetto, vidi che Rose mi salutava dalla finestra del salotto. Alzai la mano e le sorrisi mentre inserivo la marcia e partivo. Guidare mi era sempre piaciuto, mi rilassava e qui non c'era mai traffico come in città. Mentre mi dirigevo verso l'ufficio, guardavo la gente per strada, chi passeggiava con il cane, chi tornava dalla spesa carico di sacchetti o chi faceva jogging. Accesi la radio ed iniziai subito a canticchiare la canzone in onda quando un pensiero mi fulminò. Era come un flash, tanto sfuggente da non riuscire a fissarlo nella mente. Riuscivo solo a ricordare di aver già sentito quella canzone, non sapevo dove e quando ma le parole uscivano spontaneamente. Provai a sforzarmi, ma per quanto mi impegnassi non riuscivo a venirne a capo. Nel frattempo, voltai l'angolo e mi ritrovai di fronte al palazzo dove risiedeva il giornale della città. Fortunatamente, trovai parcheggio proprio davanti all'entrata così scesi, chiusi la macchina e mi avviai all'entrata. Aprendo il portone, mi ritrovai nello stanzone che faceva da portineria del palazzo. Era una stanza ampia arredata in stile moderno con più zone lettura fornite di divanetti, poltrone e grandi tappeti. Le pareti alte erano ricoperte da scaffali pieni di libri di ogni genere. Ovviamente era tutto meticolosamente suddiviso per categoria e in ordine alfabetico grazie alla precisione quasi maniacale di Joanna, la "segretaria" che in realtà era la tuttofare del nostro ufficio. Qualsiasi problema avessi, lei aveva la soluzione ed un biscotto fatto in casa da offrirti. Anche per questo, le eravamo tutti molto affezionati. Era un po' come se fosse la zia di tutti: con i suoi cinquantatre anni portati egregiamente ed il suo aspetto austero per via del suo look classico composto rigorosamente da camicetta e gonna lunga abbinate ad un immancabile tacco, la si riconosceva facilmente per via del suo caschetto rosso fuoco e degli occhiali sempre diversi e stravaganti.  La cercai con lo sguardo ed ecco sbucare i suoi capelli dalle pile di libri che ricoprivano il bancone all'entrata. Mi guardò da sotto le lenti degli occhiali senza alzarsi, ma mi sorrise e mi salutò. "Hey zuccherino, sei in ritardo? Devo coprirti con il capo?". "No, oggi sono libero. Sono passato solo per recuperare una cosa e rubare uno dei tuoi fantastici biscotti." e così mi allungai verso di lei per darle un bacio sulla guancia. Sorridendo, mi allungò un biscotto e si rimise al lavoro. Nel frattempo, mi misi a cercare un libro di cui mi aveva parlato Rose qualche giorno prima. Il profumo inconfondibile delle pagine mi investì e, come ogni volta, mi faceva tornare all'infanzia: ricordo che da piccolo guardavo affascinato mia madre e mia nonna divorare libri su libri; credo sia grazie ai loro costanti stimoli se ho iniziato ad apprezzare i libri sin da piccolo, infatti mi ripetevano sempre che avevo iniziato a leggere ancora prima di saper correre. Sentendo un rumore di passi provenire dalle scale, mi affacciai e vidi Michael venirmi incontro con in mano una pila interminabile di fascicoli. Alla vista della sua faccia concentrata nel tentativo di non far cadere i faldoni, scoppiai a ridere e ne presi metà per aiutarlo. Sorridendomi, mi disse:"Buongiorno! Grazie per l'aiuto, stavo per combinare uno dei miei soliti disastri. Che ci fai qui, oggi non eri di riposo?". "Buongiorno! Sì, infatti sono passato solo per recuperare il portatile, ieri l'ho dimenticato qui e volevo rivedere alcune cose dell'articolo sui blogger emergenti. Oggi che farai, hai già impegni per pranzo?" gli dissi mentre lo accompagnavo al suo ufficio al piano superiore. Lui appoggiò la pila che aveva in mano su un tavolino e si avviò alla sua scrivania, cercando il telefono che squillava ininterrottamente sommerso dalle mille scartoffie che non mancavano mai. "Dovrei vedermi con Alicia, vieni con noi? 12:30 al solito posto?" mi disse. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 25, 2020 ⏰

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