2. Why me?

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Il giorno seguente fui in piedi fin dalle prime luci del mattino.
La notte, all'opposto di come dichiarano i proverbi, non mi aveva affatto portato il rimedio.
La notte era stata un'interminabile ed esasperante tortura. E osare dire che fossi riuscita a dormire per venti minuti conseguitivi sarebbe stato come affermare di aver prosciugato tutti i banchi di un casinò lussurioso: inverosimile.
Ci avevo provato. Ma non potevo. Troppi assilli. Miliardi di queste preoccupazioni. Infinite domande.
Il tutto per colpa di quel mefistofelico demone e dei suoi eccentrici capricci da bambino viziato in piena crisi ormonale.

«Io,io ti odio» «Io ti amo!»

Un senso di nausea mi incise lo stomaco al solo rimembrare quelle parole.
Trovai stabilità su una sedia del grande tavolo rettangolare che ornava la parte destra della cucina e portai una mano alla fronte debilitata da quella verità.
Che mi succedeva? Perché un'ansia influenzante aveva repentinamente squassato il mio stomaco manifestandosi tramite una nausea sussultoria?
E poi perché quando lo pensavo non avvertivo più quella sensazione di sicurezza? E invece nutrivo un forte senso di minaccia?
Il pensiero di quei suoi infernali occhi gelidi che mi osservavano smaniosi di possedermi mandò a puttane tutti i miei patetici tentativi di respingerlo.
Maledizione. Maledetto nano malefico. Anche se nel suo caso era più coretto dire Watusso malefico.
Perché mi si era dichiarato?
Perché si era scomodato dalla sua posizione rendendo ufficiali i suoi sentimenti?
Non poteva confinarlo nella prigione più isolata di se stesso? Abituarsene senza aver esigenza di sabotare il nostro ineguale rapporto d'amicizia?
Non mi sembrava che qualcuno gli avesse puntato una pistola alla tempia obbligandolo a sputare il mio nome, ne tanto meno imporlo con una frusta a rivelarmelo.
Mi sedetti sul bordo dell'angolo cottura e aprendo il barattolo di marmellata alle more ci infilai un dito assaporandola ingorda.
Amavo i mirtilli. Ne ero totalmente ghiotta. Potevo essere in grado di resistere a qualsiasi pietanza, anche la più sublime, ma non ai mirtilli.
Il loro gusto zuccherato mi lasciava commettere uno dei sette peccati capitali senza farmi sentire davvero peccatrice. Erano il mio rimedio imminente a cui ricorrevo per affrontare qualsiasi circostanza o emozione.
C'era chi fumava, chi si buttava da una palazzina di venti metri e dopo c'ero io che me ne stavo seduta nel divano a trangugiare marmellata di mirtilli per ore.
Mi ingozzavo di essi e magicamente tutta la malinconia di cui ero vittima si sfumava.
Era un antidoto. Non efficace, ma che mi saziava. E ricorreggili era il mio unico sfizio.
Presi un toast e lo intinsi con il bordò di quest'ultima spalmandola lineare sulla sua superficie ruvida.
Jay era a fare una doccia. Io fingevo di fare colazione.
Il mio corpo non mendicava particolarmente del bisogno della fame, l'ansia invece, mi costringeva a farlo.

«Non lo sei. Sei l'alba che irrompe nel mio malinconico cuore.»

Stupido mefistofelico demone. Stupido, stupido e ancora stupido.
Perché le sue parole continuavano a consumare il mio stato emotivo?
Smossi la testa da sinistra a destra e cercai di distrarmi guardando il mondo fuori dalla persiana dove avevo messo la rosa che Harry mi aveva regalato il giorno precedente.

Cercai di non farmi attirare da quel scarlatto intenso e spostando lo sguardo al di fuori della finestra. Vidi una nuvola grigia a forma di coniglio che saltellando gaio stava uscendo di scena lasciando il posto a un drago dal manto avorio.
Le invidiavo così tanto. Avrei voluto tanto essere una nuvola in quest'istante.
Nessun pensiero. Nessuna pesantezza. Alcuna responsabilità. Niente.
Solamente la libertà di sguazzare in quell'infinito manto azzurro e la consapevolezza di essere rimirato da centinaia di occhi.
L'acqua della doccia cessò di colare dal rubinetto e i passi di Jay si allungarono verso di me scendendo per le scale.
Con circospezione e adeguata misurazione di perversione, mi voltai per contemplarlo: aveva addosso solo un asciugamano legato alla vita, gli occhi erano lievemente arrossati dalla consistenza dello shampoo, i capelli, una cascata d'acqua che lasciava goccioline sparse per tutto il pavimento da lui marcato.
Si infilò all'interno delle mie gambe e io gli rifilai il toast alle more che non mi andava più.
«Sei ancora in pensiero per Harry?” mi chiese apprensivo dopo aver ingoiato il toast. Le sue mani si poggiarono sui miei fianchi. Il mio corpo fu pervaso da un brivido.
«Si!» esclamai colta sul fatto come una bambina con le mani dentro il barattolo.
«Ne abbiamo già parlato ieri. Mi ci farò una bella chiacchierata da uomo a uomo e vedrai che si risolverà!» mi diede un bacio fuggente.
«Mh! Ok?» mi ultimò rasserenandomi.
«Si! Ok!» sorrise compiaciuto, spostò le mani alla schiena e mi baciò intraprendente.
Non ci pensò due volte a dischiudere le mie labbra muovendo le nostre lingue in modo circolare nell'interno.
Posai le braccia sul suo cozzo e lo stimolai piacevole. Lui spostò la testa sollecitato dai miei grattini per poi raggiungere la mia clavicola e morderla affamato.
I miei sensi si distesero proprio in quell'attimo. Quando i suoi denti azzannarono la mia carne accaldata.
Forse era di questo che necessitavo per sentirmi come le nuvole. Di un po' di lussuria.
Un'ora piena d'amore che mi avrebbe prosciugato da tutti i miei perché.
Jay solleticò la mia spalla con baci lievi e i muscoli della mia schiena si contrassero in reazione al contatto con le sue labbra.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 14, 2014 ⏰

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