Peccato mortale

3.9K 12 0
                                    


Non avrei mai dimenticato quel giorno in classe quando, per tenere buoni quei ragazzi inquieti e non proprio inclini a seguire la mia lezione sulla storia delle religioni, chiesi ad ognuno di loro cosa avrebbero voluto fare da grandi, quali erano i loro sogni e le loro aspettative. Ognuno di loro rispose con entusiasmo e fantasia, inventandosi i lavori più originali ed improbabili.

Alcuni dissero: "Io voglio fare l'attore, ed io il pilota di moto gp come Valentino..." altri, invece, espressero desideri d'affermazione professionale più miti e, mentre tutti sembravano entusiasti di quella lezione, soltanto una delle ragazzine della mia scolaresca era silenziosa e non partecipava quasi annoiandosi di tanto clamore intorno ad un argomento di discussione così futile.

Capelli arruffati, efelidi che dal naso si estendevano al volto ed un corpicino lungo e esile che, rispetto alle sue coetanee, non mostrava l'appartenenza all'universo femminile. Mi rivolsi a lei e chiamandola per nome le chiesi il perché della sua non partecipazione alla discussione, mi rispose scrollando le spalle dicendomi: "tutte stupidaggini, per riuscire non bisogna soltanto sognare ma anche volere...". Io incalzandola le domandai: "...E tu cosa vorresti, sentiamo..." e lei, in tutta tranquillità, senza tradire la sua solita espressione calma e determinata rispose: "io vorrei poter essere un peccato mortale... Perché soltanto l'eleganza di un peccato può donare l'immortalità...". La sua risposta mi lasciò senza parole, avrei voluto risponderle per meglio capire cosa intendeva dire, ma avevo tutta una scolaresca di adolescenti da dover governare e si sa il prof di religione non è proprio il professore che fa più paura al liceo.

Da quella discussione passarono, ore e giorni e quel ranocchio di ragazzina, come tutti gli altri crebbe e si diplomò lasciando quei banchi per altre aspirazioni ed io invece rimasi lì come i vecchi banchi e le sedie sgangherate a tentare di insegnare le mie povere conoscenze ad altri giovani ribelli e romantici ragazzi che affollavano quelle aule pregne di aspettative, spesso disattese, che avrebbero rincorso sogni molto spesso irrealizzabili.

Mai avrei creduto di vedere, con i miei poveri occhi, che il sogno di uno dei miei studenti potesse realizzarsi proprio lì nel centro di una delle più storiche piazze d'Italia e mai avrei potuto immaginare che un brutto anatroccolo così impacciato ed indifeso potesse trasformassi in quel meraviglioso cigno.

Ero proprio lì di fronte a lei, stentavo a credere che lei potesse essere la piccola Sophia, la ragazzina che al liceo nessuno si degnava di darle più di una fugace occhiata, erano trascorsi poco più di dieci anni e quella insignificante ragazzina era diventata una donna di rara bellezza e fascino. Le sue gambe si erano irrobustite ed erano lunghe e ben tornite, il corpo aveva guadagnato tutte le curve che ogni donna avrebbe voluto avere e quel viso, quei capelli arruffati e quegli occhi erano diventati quelli di una principessa nordica, di una bellezza rara ed introvabile.  Avrebbe fatto crepare d'invidia a tutte le amiche, che non aveva mai avuto, tutte quelle che l'avevano derisa e resa vittima delle loro improbabili aspirazioni. 

Aspettai che il set terminasse le riprese, e che il regista sciogliesse la seduta lavorativa, per avvicinarmi a lei, farmi riconoscere e complimentarmi per il suo successo lavorativo, dopotutto aveva tenuto fede al suo proposito e questo faceva di lei una persona speciale. Mentre mi avvicinavo al luogo delle riprese, un gigante dalla pelle nera mi afferrò per un braccio spingendomi in basso, facendomi rovinare in terra e senza troppi riguardi mi sollevò dal selciato portandomi lontano dal centro del set. Protestai cercando di far valere i miei diritti e l'autorevolezza dell'abito che indossavo ma il gigante nero non ascoltò le mie rimostranze e, dopo avermi allontanato abbastanza dal luogo di posa, mi scaraventò di nuovo in malo modo facendomi cadere.

Mi sollevai da terra livido e dolorante, con la giacca sdrucita ed il pantalone strappato. E mentre ero ancora intontito per quel trattamento inurbano udii una voce a me familiare che con tono severo ed a voce bassa diceva: "Ahmed lascialo stare è un mio amico!". Mi voltai e vidi lei venire verso di me porgendomi la croce, quella che portavo di solito appuntata sulla giacca e che nella caduta avevo perso.

Peccato mortaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora