È una soleggiata mattina di metà aprile, gli alberi ondeggiano lentamente in una danza, guidati dal leggero fruscio del vento primaverile che trasporta profumi floreali e delicati. Gli uccellini cinguettano vivaci, partecipando a un concerto più che mai intonato ed io, quasi penzolando dallo stretto balcone della mia cameretta, osservo tutto ciò con occhi meravigliati, stupefatti da tanta magica bellezza che riscalderebbe anche il più inaccessibile degli animi. Vengo riportata alla realtà dal prepotente suono della campanella mattutina: sono le otto, l'ora della colazione. Mi dirigo con passi svelti verso le scale e, come ogni mattina, anche tutte le altre ragazze della casa si accingono ad attraversare quel tratto di strada che separa i dormitori dalla sala, in modo spericolatamente disordinato, facendo a gara per accaparrarsi la colazione più bramata: latte, pane, miele e due frutti a testa. Ovviamente solo le più svelte possono permettersela, mentre alle altre spettano gli avanzi della golosa colazione delle prime, più qualche fetta di pane. Normalmente sarei stata una delle fortunate atlete che con studiata maestria si infilano quanto più di tutto quel ben di Dio nelle saccocce per fare il pieno; ma oggi è diverso: la mia mente è occupata da ben altri pensieri. Mi fermo sulla soglia della mia camera aspettando che quella bolgia di donzelle affamate sloggi dall'anticamera. Dopo qualche minuto, un timido viso roseo e rubicondo, sguscia fuori da una stanza e si avvicina trasportando con se un aura di serena innocenza. Ci scambiamo uno sguardo complice e ci dirigiamo verso la sala. Incuranti della misera colazione rimasta in tavola, ci sediamo al solito posto: quello vicino alla grande finestra, dalla quale ci dilettiamo nell'osservare il creato vivere all'esterno. <<Hai ricevuto risposta?>> mi domanda Jane con un filo di voce.
<<Dovrebbe arrivare entro questo sabato>> le rispondo. <<Non credo di saper aspettare tanto. Ho bisogno di sentire buone nuove: che papà stia guarendo e che a casa vada tutto a gonfie vele. Comunque, tutto sommato, sono molto speranzosa, perché nella scorsa lettera accennavano ad un miglioramento... spero solo che che non manchino nel dirmi la verità, per non aumentare il peso che porto sulla schiena e convincermi a rimanere qui.>>
Jane mi guarda dolcemente e, con fare materno, mi tranquillizza: <<Grace, non preoccuparti per la salute di tuo padre. Il Signore, egli provvederà a lui e alla tua famiglia e li assisterà in questo percorso, non temere. Qualsiasi cosa accadrà, sarà sua volontà e farà parte di un piano maggiore, sei consapevole di questo; dunque non dubitare e trova in lui la forza.>>
STAI LEGGENDO
Una casa
General Fictionamerica '800, due ragazze studiano e vivono in una grande casa. bozza