Il riflesso

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Sapete come ci si sente? Cosa si possa provare a sentirsi in trappola, sentirsi bloccati, ogni notte essere soli circondati da pareti, mobili, libri? Chi ti sta intorno è solo una comparsa. Confuso, in preda al panico non so bene per cosa, non so se sono in ansia, se sono nervoso, se sono arrabbiato, se sento caldo, se ho paura. Il tetto sembra ogni sera farsi sempre più basso. Ho voglia di urlare, non mi sento padrone della mia stessa vita, questa sembra scorrere ed io sono solo un timido spettatore, non riesco a farla mia, mi faccio trasportare. La luce non è più luce, tutto sembra farsi scuro attorno a me. Forse vorrei piangere, forse dovrei piangere, continuo ad ascoltare canzoni, passano una dopo l'altra, finisce la prima ed inizia la seconda ma non cambia nulla, forse adesso mi viene ancor di più da piangere. Se lo facessi migliorerebbe qualcosa? Cambierebbe questa invivibile vita? Qualcosa, soltanto una, piccola, insignificante? No non succederebbe assolutamente nulla, nulla di nuovo, nulla di diverso, il cuore non smetterebbe di essere stretto tra una morsa attanagliante che mi fa pesare ogni suo singolo battito. Il respiro non cesserebbe di essere corto e affannato, le notti non trascorrerebbero più serene. Continuerei a svegliarmi e a risvegliarmi, a girarmi e rigirarmi tra quelle orribili coperte, ad aprire la finestra ogni mattina e augurarmi che quella giornata sia migliore di quella prima o almeno non tanto peggio. Uscire dalla mia stanza e dare il buongiorno a mia madre senza dovermi augurare di non farla soffrire, di non farmi vedere lì a fissare il vuoto perso tra i miei pensieri, vorrei soltanto essere forte e maturo per lei. Forse sono io che esagero, forse non sono un peso per chi mi circonda, forse nessuno mi vede debole o almeno debole per come mi vedo io, forse non lo sono affatto. Questa è la cosa che più odio di me, non so fidarmi di ciò che penso, di ciò che dice il mio istinto, spesso so di stare immaginando scenari inesistenti o iperbolici ma non riesco a farne a meno. E' come se ogni giorno mi vedessi colpevole di colpe che in realtà non ho e che in fondo so di non avere. Forse un giorno sarò capace di vedere il mondo e ciò che mi circonda per quello che è, guardarmi allo specchio e sapere davvero chi sono.
Penso a quando ero bambino, quanto quei momenti fossero colmi di spensieratezza e quanto tutto ciò che mi circondasse fosse come coperto di ovatta, quando l'unico pensiero era come giocare il pomeriggio o quale cartone guardare. Quando papà tornava a casa parlando al telefono ed io gli saltavo addosso, quando con mamma facevo i biscotti ed era la cosa più bella del mondo, quando uscivo ed ero rapito da ogni cosa che mi circondava, ogni particolare, ogni piccolezza, tutto sembrava qualcosa di immenso. Ricordo questi momenti e accenno un timido sorriso, malinconico, di quelli accompagnati da lacrime che non vogliono scendere e rimangono lì, quasi a farti andare in fiamme gli occhi, tu le senti ma loro non vogliano separarsi da te. Intanto mi siedo ai piedi del letto con il capo chino e la schiena curva come a volermi proteggere, come a volermi isolare in quel dolore, come se sapessi che in realtà quello è solo un meccanismo di autoprotezione, per allontanarmi da ciò che mi circonda, una realtà troppo stretta, troppo piena di falsi ideali e falsi moralismi che servono soltanto da copertura ad un mondo colmo di odio e senza un'etica. Poi mi alzo, giro un po' per casa, vago senza meta tra le stanze come alla ricerca di qualcosa che mi rapisca e mi faccia dare un senso a quelle ore, cerco disperatamente serenità. A volte mi convinco che prima o poi arriverà da sola, senza che io la cerchi, che mi rapirà e come per magia farà parte di me, che a quel punto io potrò guardare ciò che mi sta intorno ed anche trovandomi in mezzo ad una tempesta riuscirò a tenere le redini della mia vita salde tra le mani. Torno con lo sguardo fisso sul pavimento in camera, chiudendo la porta sento come un uragano rompere quella bolla che mi circonda, la luce trapassa da dietro la tenda e mi accorgo che si tratta del treno che sfreccia come ogni ora sulla ferrovia vicino casa. Indosso una felpa, tiro su il cappuccio ed esco in balcone, vedo alla mia destra le fredde luci della stazione ed alla mia sinistra quelle calde dei lampioni, così mi siedo lì, su quel marmo freddo e duro. Sto fermo, chiuso come un riccio e guardo le luci accese delle case, mi chiedo cosa facciano, cosa pensino quelle persone, se hanno mai detto a qualcuno tutto ciò che pensano, tutto ciò che provano, chissà se l'hanno mai fatto, chissà se mai lo faranno, chissà se mai lo farò.

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