È tutto buio, quando sento le sue mani pesanti sul mio corpo, sento un respiro affannato sul mio collo.
Non riesco a capire se è un incubo o se è la realtà.
Ho gli occhi serrati, come se fossero incollati.
No, non è un incubo, sento il suo peso su di me.
Riesco a sussurrare 'Perché lo stai facendo? Cosa stai facendo?'
Mi mette una mano attorno al collo e entra dentro di me.
Le lacrime scendono, di nuovo, sul viso.
Il mio corpo è bloccato, come se fossi paralizzata, la voce non vuole uscire dalla mia bocca.
Tra poco finisce, mi ripeto nella mia testa. Resisti ancora poco Alice, poi sarà tutto finito.
Magari se ne andrà anche.
Mi sento così sporca. Così sbagliata.
Perché non sono capace di reagire?
Lui mi ansima nell'orecchio.
'Era questo che volevi, vero Alice?'
Non riesco nemmeno a rispondere, non ne ho la forza, le lacrime mi bagnano le labbra. Mi sento sprofondare.
'Lo sai che nessun altro ti darà tutto questo, vuoi davvero lasciarmi? Non troverai di meglio.'
Si, voglio lasciarti. Se tu sei il meglio, allora probabilmente preferirei il peggio.
Viene, sbraitandomi che sapeva quanto mancava anche a me.
Ma a me non mancava. Non mi mancava nulla di tutto ciò.
Se ne va in bagno e mi lascia lì, nel mio letto, come uno straccio appena usato.
E io non mi sono mai sentita così sporca.
Così vuota.
Così inutile.
Mi sento così fallita. Sono così delusa da me stessa.
Cosa non funziona, in me?
Nel frattempo che mi ronzano in testa queste domande, riesco a vedere a fatica la sveglia sul comodino, che segna le 6.15.
Un rumore mi tranquillizza. Sento il cigolio della porta.
Se ne sarà andato al lavoro. Mentre io sono ancora pietrificata nel mio letto, con indosso solo la mia maglietta.
Mi viene da vomitare.
I conati di vomito, mi risvegliano dalla mia paralisi, riesco ad alzarmi dal letto per correre in bagno.
Vomito e piango.
Piango e vomito.
Mi guardo allo specchio, vedo una figura che non riesco a credere, di essere io.
Vedo una persona vuota.
Degli occhi spenti, che hanno perso il loro verde brillante che avevano una volta.
Vedo un viso scavato.
Bianca cadaverica.
Le clavicole puntigliose, le costole sporgono e fanno da padrone in un corpo così esile.
Io che sono sempre stata un minimo rotondetta.
Ma chi sono diventata?
Ho sempre lottato per far sì che la bellezza fosse un fisico sano e non per forza troppo magro o troppo grasso.
E ora cosa sono? Un fantasma.
Devo davvero prendermi questi giorni a Parigi per star sola e pensare a cosa fare per chiudere una volta per tutte questa situazione. E riprendere in mano la mia vita.
Il cellulare suona, mi è arrivato un messaggio su Whatsapp, da un numero che non ho salvato.
'Ciao Ali, mi sono reso conto di aver il tuo numero poco fa, volevo già scriverti da qualche giorno, vorrei sapere come stai, so che sei sempre molto occupata, ma ho visto una tua foto e sono molto preoccupato. So che è passato molto tempo, ma volevo solo sapere se andava tutto bene.'
Non riesco a capire chi sia dalla foto, così decido di lasciar perdere.
Ho altro da pensare ora, una valigia, il lavoro, la mia vita. La mia salute, fisica e mentale.
Ma, non nego che capire chi è il mittente di quel messaggio, mi incuriosisce.
Perché una persona dovrebbe scrivermi se sto bene, dopo aver visto una mia foto? Soprattutto una persona di cui non ho il numero di telefono, quindi una persona che non sento e magari, non vedo da chissà quanti anni.
È tutto così strano. E se è uno scherzo di Davide? Se mi sta mettendo alla prova?
No, non ci voglio pensare.
Lascio il telefono sul letto. Ho bisogno di rilassarmi. Di coccolarmi. Non lo faccio più da molto tempo ormai.
Apro la mia cabina armadio, scelgo gli abiti da indossare prima della partenza, gonna di pelle nera e una blusa bianca e nera, per le scarpe, ci penserò dopo.
Mi devo truccare almeno un po', ho bisogno di nascondere occhiaie, segni.
Fondotinta, cipria, blush, eye-liner, mascara e uno dei miei rossetti.
Ormai i rossetti, erano nella mia trousse solo per far polvere, non li usavo più, li compravo per tenerli li.
I rossetti per lui erano gli accessori delle puttane.
Devo scacciare i pensieri negativi. I pensieri riguardanti lui.
Mi pettino i capelli.
Devo prendermi cura di me e pensare meno agli altri.
Sono una stilista. Non la custode di un cimitero.
Voglio partire. Ho bisogno di partire.
Faccio la valigia. Non ne basta una. Ho troppe cose.
Una per i vestiti e l'intimo.
Una per le scarpe. Chi sa il tempo a Parigi in questi giorni? Meglio prendere sia scarpe aperte che chiuse.
E poi per i giorni in cui le mie truccatrici, o meglio come le chiamo io, le mie fate magiche non ci sono, dovrò truccarmi da sola.
Quindi il mio beauty-case.
Penso di aver provveduto a tutto.
Il cellulare suona. Questa volta è una chiamata dall'ufficio.
'Ciao Ilaria! Ha chiamato Dubois? Martin Dubois?'
Uno dei più famosi stilisti parigini ha chiamato per me. Dovrei essere in fibrillazione.
Eppure non riesco. Sono contenta, ma niente di più.
Forse ho paura di essere delusa dall'unica cosa, oltre la mia famiglia, per cui ho lottato con le unghie?
Forse ho paura di rimanerci male?
'Okay Ilaria. Arrivo tra poco. A dopo.'
Sono già le nove. Sistemo le valigie vicino alla porta, così alle sedici quando farò una breve deviazione, troverò tutto pronto.
Prendo un taxi e arrivo sotto al palazzo dove lavoro.
Prima mi fermo a prendere un cappuccino.
Questa volta voglio fare le cose con calma, voglio ricominciare a vivere.
'Buongiorno. Il solito da portare via?'
'No, grazie lo bevo qui.' Sorrido al barista che mi guarda sconcertato, come se gli avessi chiesto cinquecentomila euro.
Ho sempre fatto tutto di fretta. Pur di rifugiarmi al lavoro, prendevo la mia bevanda, la portavo in ufficio, la lasciavo sulla scrivania e iniziavo a lavorare.
Lavorare.
Lavorare.
E poi, quando mi ricordavo, lo bevevo. Freddo.
Il lavoro in questa situazione è stato il mio angolo di paradiso. Se avevo bisogno di staccare, sapevo di poter andare lì.
Ma non è nemmeno giusto, vivere per il lavoro.
Scorro fra le mie conversazioni su Whatsapp, truccatrici, fotografi, giornalisti, buyer, amici, famigliari. E poi il numero sconosciuto.
Chissà chi è.
Magari dopo gli rispondo, solo per curiosità.
Magari quando sto andando in aeroporto, anche se, il mio sesto senso, sa chi è.
Devo smetterla di pensare a lui.
Devo smetterla di vivere col terrore.
Saluto il barista con un sorriso.
Mi guarda ancora sconvolto.
Lo capisco, sono sempre stata una persona molto fredda. Questa situazione, che un po' me la son creata anche io, mi ha irrigidita ancora di più.
Entro nello studio e Ilaria è nella sua postazione, quando mi vede è sempre serie e formale.
Sono arrivata al punto di pensare che un po' mi teme.
'Ciao Ilaria, come stai?'
'Tutto bene signorina Rizzo. Le giro il numero di Dubois.'
'Grazie mille! Ha detto qualcosa?'
'No, solo di richiamarlo, voleva parlarle.'
'Perfetto! Vi ricordate che oggi andrò via prima?'
'Si signorina.'
'Potete andare via prima pure voi.'
'Ma ne è sicura?'
'Si ragazzi, abbiamo una sfilata sabato, vi voglio carichi in questi giorni in cui non potrò esserci. Deve essere tutto perfetto e penso che darvi mezza giornata libera vi possa far bene. Ricaricate le batterie, state coi vostri cari e domani, quando non sarò qui, lavorate come fate di solito. Io poi sabato mattina vi aspetto.'
'Grazie! Grazie davvero.'
Mi guardano con la stessa espressione che aveva il barista.
Ricordo una frase, che diceva 'trattate bene i vostri dipendenti, che loro tratteranno bene la vostra azienda.'
Ormai è il mio motto, qui in vesti da 'capa'.
Sono molto dura con loro, pretendo sempre il massimo. La perfezione. Ma quando tutto finisce, cerco sempre di premiarli.
Entro in ufficio e chiamo subito Dubois.
'Buongiorno! Signor Dubois? Sono la signorina Rizzo, mi ha avvisato la mia segretaria che ha chiamato stamani.'
Mi piace sottolineare la parola signorina, mi fa sentire una persona indipendente.
Anche se, in realtà è tutto un autoconvincimento.
Senza molti giro di parole, mi chiede di andare a cena con lui, dopo la sfilata, vorrebbe parlarmi di una collaborazione.
Un uomo che arriva subito al sodo. Senza farsi tanti problemi. Senza aver paura di ricevere un rifiuto.
Sorrido al pensiero che qualche donna possa rifiutare un uomo come lui.
Un genio.
La sua voce è molto sensuale. La sua 'erre' francese, mi risuona nella testa come una melodia.
Mi ha affascinato in una sola chiamata, non oso immaginare sabato.
Accetto, senza esitare.
È una buona occasione per me, per il mio marchio e la mia azienda.
È un colosso della moda francese.
Magari diventeremo buoni colleghi.
Lo saluto e sono contenta.