02/08

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B74. era una di quelle donne che non c'era bisogno di svegliare, anche nel loro letto erano pronte a scattare per infilarsi le scarpe, un occhio chiuso che dava sul sonno, un occhio aperto che dava sul potenziale pericolo che poteva essere l'esistenza. Le avevano insegnato così, non si sa mai cosa possa succedere, e poter correre con le scarpe ai piedi è alla base della sopravvivenza. A volte avrebbe voluto addormentarsi veramente, per non svegliarsi più, allora si metteva d'impegno, cercava di lasciarsi andare, pregava una qualsiasi preghiera perché qualcuno la aiutasse ma non succedeva mai; e questo confermava il secondo insegnamento: sei da sola, non confidare negli altri.

Contro ogni statistica odiava i gatti ed aveva un figlio, G.02, un sedicenne che incarnava un sedicenne, con cui si scontrava sull'amore, lei gli raccontava che amare qualcuno era bello, lui le rispondeva che non era fatto per quei sentimenti, che gli avrebbero fatto perdere tempo, un tempo da conquistare e riempire con imprese che stavano tra l'epico, lo scientifico e l'esotico.

Lui sarebbe diventato uno scrittore di quelli che odi ma non riesci a non leggere, lei non lo avrebbe mai saputo, sarebbe morta qualche anno prima, ma lo amò infinitamente in ogni fase delle sue identità: ballerino, casalingo, meccanico, piastrellista, cuoco a domicilio e insegnante di yoga dinamica.

E lui avrebbe dedicato ogni pagina a quella madre così problematica e accogliente, come una di quelle torte pluristrato che non sai da che parte ingoiare.

B.74 lavorava come inserviente in una mensa aziendale, era stata una ginecologa ma non ne poteva più di vagine e gravidanze, aveva messo via qualche soldo e scelse una professione che non la facesse pensare troppo, mettere cibo nel piatto altrui si avvicinava a quel galleggiamento di pensiero che andava cercando. Solo l'odore era un problema, quello di salsiccia e quello del minestrone, non erano odori da mensa, più adatti ad una casa di quelle in cui la parola "vegano" non è presa in considerazione se non come una sfaccettatura della morte e carestia.

Abitavano in un condominio di sette appartamenti in una zona di confine, quelli che separano i parchi giochi eco bio in bambù da quelli in cui i passeggini servivano come armadietto con ruote per lo spaccio, gente magra contro gente grassa, gente che associa l'obesità alla pigrizia contro gente che si riempie lo stomaco in un'atavica lotta senza schieramenti. Lei se ne stava in mezzo, scesa in strada poteva scegliere da che parte andare, verso est sarebbe stata una quasi grassa, verso ovest una che si sta rimettendo in forma, preferiva alternarsi nelle classi sociali mantenendo una neutrale identità di chi sale su una giostra e cambia sempre posto.

B.74 coltivava la passione per la fotografia, ma non lo sapeva nessun altro, conservava centinaia di foto di scatti, amava gli scenari pop, la sua favorita era quella di un supermercato in cui una serie di perfette scatole di cereali contrastavano con due bambini con la sindrome di Down intenti a discutere su quali cereali comprare, mentre la madre stava fantasticando di abbandonarli, ma questo non lo avrebbe mai saputo nessuno.

Non condivideva molto del suo stato d'animo e di quello che faceva, stava bene da sola, e non cercava un uomo di cui innamorarsi, usciva con qualcuno per cercare nuove prospettive con cui confrontarsi, le piaceva sentire idee che cozzavano con le sue, anche se negli ultimi cinque anni le idee erano svanite, gli uomini che incontravano non le sfoggiavano come armi, disarmati dalla  facilità di trovare vagine social.

Il giovedì e il lunedì sera andava a comprare un pacchetto di sigarette, e se ne accendeva sempre una nel percorso di ritorno, si fermava su una panchina a guardare un po' di foto di vite altrui cercando di scoprirne qualche particolare sfuggito agli occhi di chi vede solo l'invidiabile. Avrebbe voluto essere amata, B.74 era una romantica nascosta dentro un vaso di cetrioli sottaceto, ma questo nemmeno lei lo sapeva, sentiva la voglia di mangiarsi le unghie, ma lo scambiava solo per indisciplinato nervosismo. Non era una donna sufficientemente buona, aveva dei picchi di mediocrità e di meravigliosità, non era bella al modo dei modelli del tempo, sarebbe stata bella almeno cinquanta anni prima e il suo senso dell'umorismo richiamava delle campane a lutto.

Quella sera era un mercoledì, aveva perso il pacchetto e avrebbe dovuto anticipare la solita uscita, un mercoledì del cazzo, il mercoledì delle scaloppine al limone e della creme brulè, faceva freddo, umido, come un mezzo pompelmo in frigo dentro cui infili un dito, piacevole ma per poco.

M.77 era un uomo di quelli che amavano ancora aprire la portiera dell'auto, non per sottolineare chissà che differenza tra sessi ma per far emergere la gentilezza che era in lui, tutto qui. Si sedeva sulla panchina sulla stessa panchina ma, per la prima volta, l'aveva trovata occupata, una donna sospesa tra il bello e l'inconoscibile. Era uno che non temeva la presenza di altri corpi e si sedette a pochi centimetri da lei.

"Non l'ho mai vista da queste parti."

"Ci passo di giovedì e lunedì."

"Io di mercoledì e sabato."

"Chissà il martedì e la domenica chi ci sarà."

"Immagino qualcuno di losco, e basso."

"Io di alto che prende fiato dopo ore di ordinato esercizio fisico,"

"O qualcuno che posta foto."

"Io le guardo le foto degli altri, ma cerco difetti, mi piacciono le cose difettate."

"Ieri ho comprato un frullatore, appena l'ho acceso ha fatto una fiamma ed è morto."

"Gliel'hanno cambiato?

"Sì certo, ma ho cambiato marca. Che fa nella vita?"

"Cerco difetti, e riempio piatti di una mensa."

"Io insegno fisica, lo odio, odio che nessuno capisco quello che dico."

"Pensa che tragedia se tutti capissero alla perfezione, il mondo sta in piedi grazie ad archetipi diversi,

non potrebbe esserci se tutti capissero tutti."

"Quindi sa cucinare?"

"No, so riempire i piatti, facevo la ginecologa, ma non ne avevo più voglia."

"Quante vagine avrà visitato?"

"Migliaia, ognuna è infelice a modo suo."

"Il miglior incipit è la lingua che percorre tre passi."

"Non so d'accordo ma non lo saremo su tante cose, io adoro il mio compleanno."

La panchina si animò in un giorno solitamente dedicato alla solitudine, il mercoledì divenne il giorno della conversazione, delle risate e dei tocchi di mano e della lingua contro lingua. E arrivò la stagione calda, e le parole si sciolsero in un agglomerato di attrazione, così viscoso che non potevano più staccarsene. La variabile "posto giusto al momento giusto" questa volta aveva funzionato, passarono gran parte della loro vita insieme, si sposarono, divorziarono ma si risposarono, ed ogni mercoledì si risedevano su quella panchina per rivivere quel momento di grazia, tipico dei grandi campioni, quei momenti in cui tutto il pubblico sta zitto, in attesa di una grande azione.

02/08Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora