Tutti che volevano aiutarmi. Tutti che volevano salvarmi. Tutti che volevano rendersi utili. Tutti che mi distrussero.
La psicologa continuava a parlare. Continuava a ripetermi la stessa frase:
"Non importa quanto duro sia stato duro il passato. Puoi sempre ricominciare da capo."
Ma ricominciare voleva dire aver superato quella parte della mia vita. Ricominciare voleva dire dimenticare i lividi sul mio corpo. Voleva dire smettere di tagliarmi. E io non potevo. Non potevo dire addio a tutto quello. Non ce la facevo. Dimenticare quelle cose sarebbe significato dimenticarmi della mia mamma. Ma lei era l'unica che mi capiva. Anche se difficile,nella mia mente avevo dei dolci ricordi che la riguardavano. Dolci ricordi se si interrompevano con le violenze di mio padre. Lei fu la sua prima vittima. Fu per colpa sua che si diede all'alcool e alla droga. La picchiava. Ogni giorno la picchiava a sangue. E io dovevo assistere. Dovevo assistere in silenzio. Mia madre era stata una guerriera. Mia madre era un angelo guerriero. Ma quell'animale l'aveva distrutta così tanto che si rifugiò nella droga. Quell'animale mi distrusse così tanto che mi portò a tagliarmi. Lui era la causa della mia rovina. Lui era il diavolo. Lui era un uomo che viveva solo per distruggere chi gli stava affianco. E ci era riuscito. La mamma il giorno prima di morire mi ripeteva:
'Diana, combatti.'
'Diana puoi farcela '.
'Diana sarò sempre con te. E scusami, scusami se sono stata una delusione.'
Era uno di quei momenti in cui pensi: "Non piangere, non qui. Non adesso.'
"Ciò che non ti uccide, ti rende più forte" dicono. No,ciò che ti uccide, ti uccide perché ti cambia. E non c'è peggiore morte della morte di se stessi. Chi muore dentro, muore più volte."
Ed io ero morta. 1,2,3,4,5 ero morta. Morta insieme a lei, quel giorno in ospedale.
La zia mi venne a prendere. Mi domandò come fosse andata. Cosa potevo mai dirgli? Dovevo dirgli che i pazzi erano loro? Che io ero solo arrabbiata con il mondo? .
Non ero irraggiungibile. Non ero difficile. Non ero inconquistabile. Ero ferita, ed ero una di quelle persone che sola ci stava bene.
'Come ti sei fatta questi tagli?' mi disse indicando i tagli con uno lo sguardo
'Il mio gatto.'
'Hai un gatto?'
'No.'
Le prime settimane di convivenza furono difficili. I voti a scuola non erano buoni e la zia si arrabbiava. Urlava. Mi metteva in punizione. Diceva:' Non esci'. Bene pensavo. Non volevo uscire. Volevo solo starmene tranquilla. Sono per po'. Un paio di ore senza pensare a niente e nessuno. Volevo sentirmi libera.
Un sera scoppiai psicologicamente. Continuava ad urlarmi:
' Cosa vuoi? Cosa vuoi tu da me?'. 'Non è colpa mia se tua madre è morta.' Tu hai perso una madre. Io una sorella.'
Insieme alle sue urla seguirono le lacrime.
'Fai parte della mia famiglia. Ti aiuterò io'. Mi diceva.
'Famiglia? Che famiglia? Dov'eri? Dov'eri quando tutto attorno a me andava a rotoli,quando dentro me sentivo il cuore fare male,quando la notte respirare diventava impossibile. Dopo ogni respiro era un modo per soffocare. Dov'eri?"
Quella litigata fu un modo per sfogarsi. Lei stava male tanto quanto me. Dopo quella litigata ci furono minuti di silenzio. Rimanemmo a fissarci entrambe quando tutta quella rabbia, quell'odio verso il mondo terminò con un nostro abbraccio.