-E parlò una donna e disse: Parlaci del Dolore.-

Comincio con il dire che non sorrido da circa quattro anni.

Le persone non meritano un mio sorriso, ne vedono già troppi, falsi e raramente veri.

Il sorriso manifesta felicità e io non sono felice. Non vedo quindi il motivo di fingere di esserlo sorridendo. Non voglio.

Voglio manifestare il mio dolore. Voglio che la gente lo sappia. Voglio che le persone che sanno di meritarsi la mia tristezza la vedano e ci convivano giorno per giorno.

Non sorrido da circa quattro anni. Non sorrido da quando le persone che mi hanno cresciuto, o come io non li chiamerò mai più, genitori, hanno dato mia sorella in pasto a un mucchio di medici pronti a farla diventare una cavia, sembravano leoni con la bocca aperta, con le fauci pronte ad azzannare e ad ammazzare Sarah.

Sarah. Mia sorella. La mia migliore amica. Il mio rifugio. La mia famiglia. La mia vita.

Non sorrido da quando non ce n'è più bisogno.

I medici avevano diagnosticato a Sarah un cancro al cervello qualche mese prima che lei morisse. In corso c'era una cura sperimentale e ai dottori serviva una cavia, insomma.
Sergio e Marisa, i nostri genitori, la hanno iscritta senza esitare, sapevano che sarebbe morta facendolo. Ma per loro Sarah era un peso morto, era da mesi che stava male e io mi prendevo cura di lei.

Sergio e Marisa hanno rinunciato a molte cose per lei e quindi per loro era più facile darla in pasto ai lupi, per così dire.
Io per lei avrei rinunciato alla mia vita.

Due mesi e mezzo dopo aver cominciato la cura sperimentale, contro la volontà di mia sorella, lei morì.
Morì sotto i miei occhi, soffocata da quel che era rimasto della "medicina che uccide", come la chiamo io.

Al suo funerale non era venuto nessuno, ero io la sua unica amica, e lei la mia.

Il dolore che provo adesso è straziante, a volte vorrei uccidermi e ci ho anche provato.

15 luglio 2017: quasi morta di overdose, sono stata salvata per un pelo da Marisa che era venuta in camera mia per portarmi i vestiti lavati.

20 novembre 2018: il giorno del mio compleanno...stavo per buttarmi da un cavalcavia, ma una macchina mi ha vista e mi ha portata a casa di forza.

06 gennaio 2019: mi ero procurata una pistola e me l'ero puntata alla testa, Sergio continuava a scrivermi per chiedermi dov'ero, visto che era notte inoltrata, così non ho trovato la concentrazione e il coraggio di farlo.
Nessuno è mai venuto a sapere di questa volta qui. Ho ancora la pistola nel mio cassetto tra i miei reggiseni.

Ho progettato un altro tentativo, spero che questa volta funzioni. Voglio riunirmi a Sarah...magari questa volta funzionerà e potrò finalmente tornare a essere felice. Potrò tornare a sorridere.

A volte mi taglio. Mi fa stare un pochino meglio. Mi fa male, ma non mi importa, il dolore mi fa stare vicino a mia sorella.

Sergio e Marisa hanno tolto quasi tutti gli oggetti con una lama o qualunque cosa potenzialmente utile per un suicidio, ma non sanno della lametta che ho in camera.

Mi vesto sempre con le felpe larghe. Tipico, penserete, per una ragazza depressa e con istinti suicidi. Beh, non mi piace farmi vedere. Non voglio essere riconosciuta.

A scuola sto zitta. I professori sono preoccupati per i miei voti, ma a me non interessa, tanto finirà tutto tra poco.

La data che ho stabilito è il 18 dicembre 2019, il compleanno di mia sorella.

La felicità mi aspetta dove lei è.

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