♫ nei media: orange juice - melanie martinez
«You turn oranges to orange juice
Enter there, then spit it out of you
Your body is imperfectly perfect
Everyone wants what the other one's working
No more orange juice»Mamma, è ironico che sia proprio io – la tua bambina – a confessarti che in me non c'è un singolo tassello al suo posto, che il sorriso che mi vedi sulle labbra mordicchiate ha lasciato i miei occhi da molto tempo. È stata Lei a ridurmi così, e no, non avere pietà per me, perché io La venero, non sono mai stata tanto devota. Non ho mai avuto fede in quel Padre misericordioso che tutti pregano, perché troppe volte l'ho visto voltarsi dall'altra parte. Lei mi vede, vede il mostro che si nasconde dietro le mie costole e che mi graffia il petto con le sue unghie sporche per uscire allo scoperto.
Tu stessa in qualche occasione mi hai detto: sei il mio danno, ma le madri amano in modo speciale i figli problematici. Semmai trovassi davvero il coraggio di farti leggere questa patetica lettera, sono certa che non ti sorprenderebbe poi tanto. Sei una buona madre, mi osservi più di quel che vorrei e forse sai già quanto sono oscuri i miei pensieri. Non ho avuto una vita difficile, nessun trauma infantile, sono semplicemente nata blu in un mondo che brilla del rosso più acceso.
Anche ora che sto riversando l'anima su questo foglio bagnato non faccio altro che parlare di me, sono ebbra del mio egoismo. Mi viene voglia di stracciare tutto e ricominciare da capo, ma la verità è che sono così, sono cattiva. Quando sei distratta sputo il cibo che mi prepari nel tovagliolo e poi rido forte, non se n'è accorta, mi dico. Più lo faccio e più sto bene, che importa se ti spezzo il cuore.
Ora mi prudono le mani, non posso fare a meno di scrivere anche questo: è colpa tua. Mi toglievi i dolci dalle manine dicendo: smettila di mangiare, ingrasserai. Allora io ti guardavo e vedevo il tuo corpo slanciato e la tua pancia levigata, sentendomi in colpa per ogni boccone ingoiato. Ho cominciato presto a digiunare – faccio la dieta per diventare come mamma – e tu mi hai appoggiata, almeno per un po'. Poi mi hai vista deperire, hai visto i segni sui miei polsi lattescenti e le unghie morse a sangue, e hai iniziato a imboccarmi come facevi quando ero piccola. Sei bellissima, guarda come sei bella, mi dicevi mettendomi davanti allo specchio. Io ti ho creduto e Lei se n'è andata.
Ho vissuto bene per qualche tempo, ma sapevo di essere cambiata. Avevo assaggiato il Suo dolce sapore, mi aveva cullata quando i morsi della fame mi tenevano sveglia la notte, mi aveva ficcato le dita in gola quando i sensi di colpa mi stavano divorando. Sapevo che Lei era ancora lì e che presto sarebbe tornata.
Mamma, è tornata davvero. Vorrei tanto chiederti aiuto, ma le parole mi muoiono in gola, strette nel nodo che mi fa singhiozzare di nascosto seduta sul pavimento del bagno. A ogni conato di vomito Lei mi sussurra all'orecchio, dolce come il miele: brava, sei stata brava. La sento mormorare anche di notte, canta una canzone triste e stonata che echeggia da una parete all'altra della mia stanza e mi terrorizza. Poi la melodia cambia, diventa una ninna nanna e io mi addormento fra le Sue braccia fredde e ossute.
Mamma, non sono come Lei mi vorrebbe, non sono sempre perfetta, non sono sempre brava.
Certe notti mi trascino a piedi nudi lungo il corridoio, poi mi siedo per terra e inizio a contare. La fame mi attanaglia, mi fa strappare a morsi le pellicine dalle dita. La combatto con tutta me stessa e alla fine perdo. Ingoio e ingoio e ingoio tutto ciò che riesco ad afferrare nel buio pesto della cucina, mentre la casa dorme silenziosa. Mangio fino a sentire lo stomaco esplodere e il vomito salire, bruciandomi la gola graffiata. Sei disgustosa, sali sulla bilancia, guarda tu stessa, La sento mormorare ovunque intorno a me. Mi trascino di nuovo lungo lo stesso corridoio fino alla porta del bagno. Entro e meccanicamente mi fermo davanti allo specchio, fa tutto parte di un rito che ripeto religiosamente tutte le volte e che si conclude sempre allo stesso modo. Lo specchio del bagno si sdoppia innumerevoli volte, diventa un labirinto di vetro costruito soltanto per me. Mi siedo per terra con la testa tra le mani – non voglio guardare, non farmi guardare, sei disgustosa – e alla fine La ascolto. Salgo sulla bilancia una, due, forse tre volte, prima di accovacciarmi e rimettere tutto in silenzio – brava, sei stata brava, sei stata brava, sei stata brava. La Sua voce è rassicurante, mi tranquillizza. Mi appoggio con la schiena alle mattonelle del bagno. Sono fredde, ma non importa, finché Lei è con me, finché mi tiene stretta al petto. Piccola, minuta, invisibile, come ho sempre voluto essere.
Non sono più lucida, mamma. Sta tornando, La sento arrivare, non posso più scrivere.
Devo andare.
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𝐁𝐑𝐈𝐂𝐈𝐎𝐋𝐄
Short StorySolo una vecchia lettera mai recapitata, per ricordarmi sempre che ho iniziato a scrivere per rabbia, per fame, per combattere i mal di pancia.