Anni luce da qui

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Roma, ultimi giorni di ottobre

Sei cavalcioni su di me, le lunghe gambe raccolte intorno al mio bacino. Ti muovi sinuosa, concentrata a carpirmi quanto più piacere possibile: lo comprendo dalla piccola ruga di concentrazione che ti solca la fronte e dalla bocca socchiusa, da cui escono a tratti piccoli gemiti sfatti.
Sei l'incarnazione della bellezza e della passione: il corpo bianchissimo, i seni piccoli e perfetti dai delicati apici di cipria, i capelli sciolti che ti solcano le spalle come fuoco liquido.
Appoggio le mani sui tuoi fianchi, per guidarmi ancora più nel profondo di te e mi unisco ai tuoi movimenti, provocandoti un grido soffice, la testa gettata all'indietro per l'intensificarsi del piacere.
La finestra è aperta su una notte meravigliosa, tiepida e colma del profumo di caprifoglio, una luna immensa e luminosa ad illuminarti d’argento.
Stai ancora danzando su di me, intensa e caldissima, e i tuoi movimenti mi stanno conducendo al piacere, già lo sento irraggiarsi nel midollo e salire lentamente rendendomi fluido e disossato, e attendo con ansia l'annottarsi della ragione che l’orgasmo regalerà al mio cervello.

D’improvviso però un tuo grido straziato mi strappa a  quell’universo di puro piacere e mi richiama in una sorta di dimensione parallela: la finestra è ora aperta su una pioggia battente, grigia e fredda e la tua voce, che mi invoca è sempre più bassa, quasi si stesse dissolvendo portata via dal rumore incessante di quel piovere selvaggio.
Sposto le mani dai tuoi fianchi e provo ad intrecciare le dita alle tue ma non ci riesco…sono trasparenti, sempre più incorporee e fredde, come freddi e lontanissimi sono ormai i tuoi occhi.
Ti chiamo, o almeno ci provo…grido ancora ed ancora il tuo nome, ma nessun suono esce dalla mia gola e sono solo, in un immenso spazio grigio…

-Paola!-
Mi metto seduto sul letto, e provo a governare il respiro.
Cerco la lampada sul comodino e la luce mi ridà le giuste dimensioni dello spazio e del tempo. Sono nella mia camera, a Palazzo Chigi, reduce dall'ennesimo terribile incubo.
Torni da me quasi ogni notte, e ogni volta fai l'amore con me, salvo svanire e lasciarmi smanioso e sconvolto, dissolta nel nulla di una notte grigia.
Ma mai come stanotte ti ho sentita reale su di me e mai ho sentito così straziante la sensazione di vuoto quando ti sei dissolta dalla mia carne. Scosto le coperte e raggiungo il cassettone per prendere una maglietta pulita, da sostituire a quella che indosso, fradicia di sudore.
Poi, mentre attendo che il respiro torni regolare mi avvicino alla finestra e scosto la tenda. Niente luna, solo un cielo cupo e nerissimo come spesso succede in questo periodo dell'anno.
Mi stropiccio il viso, mentre torno verso il letto: te ne sei andata nel sole di giugno e ancora mi manchi, immensamente, nelle nuvole cupe di fine ottobre. È così immenso il vuoto che hai lasciato, Paola…
A volte, come in questa notte solitaria, mi ritrovo a pensare che andandotene in questo modo così ultimativo hai inteso mettere più di una distanza fisica tra noi.
È come se tu avessi voluto lasciare me e ciò che siamo stati in una dimensione conclusa, ormai irraggiungibile, distante anni luce da qui, da te e me insieme.
Eppure, in questo vuoto che hai voluto tra noi, incredibilmente, a volte ti sento.
Sono i sogni a parlarmi di te, a raccontarmi che forse anche tu ancora rammenti e , come me, soffri per la nostra distanza. A dirmi con assoluta certezza che non mi hai dimenticato. Non so cosa sia questo legame speciale sopravvissuto a tutti i tentativi di troncatura ma sono certo che esiste, che sia vivo, concreto e reale.
Ti sento, Paola, e in quel posto remoto che costituisce la parte più vera di me, dove custodisco il ricordo del tuo sorriso e del calore del tuo corpo sei ancora  meravigliosamente mia, e tutto ciò che siamo stati, in quella dimensione perduta, ancora è tangibile, caldo di sole e di risate, di carezze e di amore.
Cerco nuovamente il conforto delle coperte, anche se so che il sonno non tornerà.
Spero di recuperare almeno un po’ di calore, che possa scacciare il freddo che lo scrosciare di quella pioggia grigia ha instillato nella mia anima.
Chiudo gli occhi caparbio, sperando almeno in un altro sogno, in cui ancora ritrovarti, anche se ad anni luce da qui.

Quando mi affaccio alla finestra per la prima volta, siamo già a metà mattinata.
Ho interrotto la riunione con i capigruppo, anche se siamo molto lontani dall'aver elaborato una strategia.
Ma, sarà per la nottata pressoché insonne o per la cappa opprimente che mi stritola l'anima, dopo il sogno cupo di stanotte, stamani proprio non riesco a concentrarmi. E ciò che vedo, aldilà dei vetri non fa che rendermi ancora più gravoso il respiro: un muro di pioggia, grigia e battente, uguale a quella in cui ti sei dissolta nel mio incubo.
Chiudo le tende con un gesto secco e mi volto, per tornare a sedermi, quando la porta si spalanca e Rocco entra trafelato, il volto pallido e tirato.
-Giuseppe, devi venire un attimo di là. È importante-
Lo seguo senza troppe domande, consapevole che se ha interrotto in quel modo la riunione è di certo per un motivo più che valido.
Mi indica il suo ufficio e richiude la porta dietro di noi.
Io intanto ho già riconosciuto la persona che mi attende, in piedi vicino alla scrivania, una cartellina scura tra le braccia.

Ansaldi, dei servizi interni.

Il mio cuore perde un battito, quando comincia a parlare, dopo avermi rivolto un cenno di saluto col capo.

-L’abbiamo trovata, Presidente-

Ci siamo, quasi...🤞🏻🤞🏻
Grazie, sempre a tutt*
♥️♥️♥️

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