Persa nei tuoi occhi

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Osservavo il mio riflesso stanco davanti al grande specchio della mia camera: i capelli rossi ricadevano flosci ai lati del mio viso,due profonde occhiaie mi cerchiavano gli occhi verdi, la mia pelle,punteggiata qua e là da brufoli comparsi in quantità maggiore di quanto richiedessi proprio in concomitanza con l'inizio della scuola,era così pallida che sembrava che in tutti i miei sedici anni di vita non avessi mai visto la luce del sole. Spostai disgustata lo sguardo per vedere che ore fossero: le sette e quarantacinque. Decisamente troppo presto per i miei ritmi umani, ma decisamente troppo tardi per i ritmi piuttosto infernali della scuola.

«Ceara, muoviti, o me ne vado da solo!» gridò mio fratello Stephen dal piano di sotto, facendo scoppiare la bolla di torpore in cui mi trovavo sin da quando avevo aperto gli occhi con un gemito al suono della sveglia.

Quello sciocco riteneva di essere il padrone del mondo dal disgraziato giorno del suo diciottesimo compleanno e il fatto che fosse l'unico di noi tre a poter guidare la macchina certo non sminuiva il suo senso d'onnipotenza. Incurante del suo richiamo, mi armai di fondotinta, copri occhiaie, phard e, immancabilmente, mascara in un ultimo tentativo disperato di trasformare l'immagine da film horror che mi ritrovavo al posto del viso in un qualcosa che non spaventasse chi posava, anche solo per sbaglio, gli occhi su di me.

Scesi gli scalini a due a due e mi precipitai fuori dalla porta, provvidenzialmente aperta da mia madre Kate, e in una frazione di secondo mi feci trovare seduta davanti al posto del passeggero, con tanto di cintura allacciata,accanto a mio fratello, alla guida di un'orribile e vecchia macchina usata che trattava però come fosse sua figlia.

«Sei truccata!» esclamò da dietro la mia sorellina Hope, dodici anni. «Mamma, è truccata!»gridò dal finestrino.

«Lo so, cara. Buona giornata!» rispose lei, con il suo solito accento americano che,seppur in Irlanda da molti anni, non aveva perso. Soffiò un bacio nella nostra direzione e si chiuse il portone rosso alle spalle.

«Uffa, non è giusto che telo permetta!» continuò a lamentarsi.

Stephen mise in moto e partì,accendendo l'autoradio per non sentire le proteste di Hope, e si sintonizzò su un canale rap.

«Ti prego, Stephen, non questa robaccia di prima mattina!» dissi io, e spensi l'autoradio.

«Non farlo mai più, piccinaccola!» mi rimproverò lui, riaccendendola.

«Hope, vuoi chiudere quella bocca?!» gridai a mia sorella, che non la smetteva di elencare i numerosi motivi per cui il trucco stava meglio sulle bionde come lei piuttosto che sulle rosse come me, secondo dei parametri puramente arbitrari per giunta. Ammutolì.

«Odio il venerdì» fu la mia ultima frase pronunciata nel viaggio verso scuola.

*

«Pss, Holly!» chiamai la mia compagna di banco, durante l'ultima ora. 

Si girò:«Quanto manca?» le chiesi.

«Cinque minuti» disse lei.

Iniziai silenziosamente a riporre le mie cose, come il resto della classe, mentre il signor Walker continuava ostinato a spiegare le disequazioni di secondo grado con quel suo fare da inglese con la puzza sotto il naso. Ed ecco il suono tanto atteso ad annunciare la nostra libertà: saltammo tutti in sincrono dalle sedie come spinti via da molle, e alla maggior velocità permessa dal pesante zaino carico di inutili libri ci volatilizzammo, mescolandoci agli altri studenti che facevano progetti per la sera.

Holly, che oltre ad essere la mia compagna di banco era anche la mia migliore amica da sempre e la mia vicina di casa, tornò a casa con noi, e ciò rese un po' meno pesante il viaggio: mia sorella pendeva dalle labbra della mia amica e quell'angioletto non mancava mai l'occasione di ripetermi che avrebbe preferito mille volte avere Holly come sorella piuttosto che me. Passando come al solito sopra ad ogni commento di Hope, chiedemmo a Stephen un passaggio fino in centro per il pomeriggio.

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