Capitolo Due

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Mi chiedevano di descrivermi ma nemmeno io sapevo chi ero.
Avevo mille personalità, e quella era l'unica cosa di cui ero certa. Mi ero autoconvinta che fossi la classica persona da evitare, e ne ero molto sicura. Non facevo del bene agli altri, sapevo solo distruggere ciò che gli altri provavano a comporre.

Arrivata a casa girai la chiave quattro volte nella toppa della porta e la spinsi leggermente, infine con una spinta più decisa si aprì, non domandai nemmeno se c'era qualcuno in casa, ma immaginavo di no poiché, quattro mandate significava che nessuno era in casa, almeno che non ci sia io dentro e l'ultima ad uscire sia stata mia madre.

Raggiunsi il frigo, presi l'avanzo del panino con tonno e maionese del giorno prima e salii di fretta le scale che portavano al piano di sopra. Con aria stanca mi trascinai in camera mia, feci cadere lo zaino nell'angolo tra la libreria e la scrivania e mi buttai a peso morto sul letto. Tolsi la pellicola dal panino e gli diedi un grande morso. Con rabbia feci forza con un piede sull'altro per togliermi le scarpe, che ovviamente non collaboravano.

Appoggiai il panino sul letto, mi misi a sedere sul letto e sempre con rabbia tirai fuori i lacci incatrati nelle scarpe. Le slacciai, presi il panino, mi alzai di scatto in piedi, scossi il telo sopra il letto e infine mi buttai nuovamente sul letto a peso morto.
Era una delle cose che odiavo di più. Quando hai uno scopo ma puntualmente qualcosa va storto, poi di seguito continuano ad andare storte tutte le altre cose, via scorrendo fin quando accumuli tanta rabbia che ti rimarrà poi dentro. Ecco quella giornata era rappresentata da questa immagine, e ancora non era finita.

Erano le diciotto e trentadue, misi in bocca l'ultimo pezzo di panino e iniziai a masticarlo. In quel momento, proprio in quel momento, sentii bussare alla porta di camera mia, masticai in fretta e furia rischiando di strozzarmi e dissi «Puoi entrare».
Sapevo che era mia madre, tutti i giorni tornava più o meno a quell'ora. «Allora cosa mi racconti?» chiese mia madre.

Era una donna magra, persino troppo, aveva dei lunghi capelli biondo cenere e delle mani stupende. Era sempre stanca, in viso era spesso bianca e quando mi incantavo a guardarla notavo le prime rughe intorno agli occhi e mi facevano sorridere. Mia madre non mi aveva fatto mancare nulla, e sapevo che era una donna forte. Mi aveva sempre capita e aveva sempre sopportato il mio brutto carattere. Mi piaceva tanto mia madre ma spesso non andavamo d'accordo. Probabilmente dato dal mio carattere e la mia età, però ci ritrovavamo in discussioni animate che finivano poi in un semplice scambio di idee diverse.

«Niente di che mamma» dissi mettendomi a sedere sul letto. Lei mi guardava con aria strana, era sulla soglia della porta, ma non mi diceva nulla.
«Cos'è l'amore mamma?».
Mi venne spontaneo, sapevo che non era la persona adatta a cui chiederlo ma non so cosa mi passava per la testa.
Mia madre cambiò sguardo, i suoi occhi iniziarono a brillare e subito dopo gli angoli della sua bocca si alzarono.
«Nessuno può dirti cos'è l'amore finché non lo capisci tu stessa» «L'amore non é uguale per tutti. È complicato. Ma tesoro, perché mi fai questa domanda?»
«Niente mamma, era solo curiosità.»
Nel frattempo si era seduta vicina a me sul letto, mi diede un bacio sulla fronte e si alzò.
«Rachele» disse prima di girarsi
«Dimmi mamma»
«Ho sbagliato»
«Di cosa parli?»
«L'amore esiste, lui c'è sempre. Siamo noi a decidere quando vederlo» «E ricorda, "amore" non significa avere un ragazzo» disse facendomi l'occhiolino.
A quelle parole arrossii e mi resi conto che forse io e mia madre non eravamo poi così diverse.
«Lo so, grazie mamma» gli dissi

L'ora successiva la passai a pensare, distesa sul letto con le gambe appoggiate al muro e la testa penzolante. Pensai all'amore, e di quanto poco ne sapessi io dell'amore. Aveva ragione la signora Margherita, non sapevo cos'era l'amore, o almeno ancora non l'avevo capito, ma lo volevo scoprire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 21, 2021 ⏰

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