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E sulle note di Vasco Rossi vi lascio questa piccola pillola un po' triste. Buone vacanze a tutti miei Nargilli.

Bisoux GMQ. 😘





"Non c'è nostalgia più dura di quella delle cose che sono state e poi perdute."

Ti sto pensando.
In realtà ti penso spesso.
Ma più ti penso, più mi scordo i particolari.
Ricordo alcuni momenti, alcuni attimi felici prima di perderti.
So che i tuoi tratti si stanno sfumando come in un dipinto ad olio. Sei indefinito, ma i tuoi colori sono vividi.
Ricordo il biondo dei tuoi capelli che riflette al sole. Ricordo il calore sulla mia pelle, ma non riesco a ricordare quanto fossero morbidi o come scorressero fra le mie dita.
Ricordo il grigio freddo dei tuoi occhi. Ricordo che lo associavo al ghiaccio, all'inverno e alla neve.
Amavo la neve.
Ricordo le tue dita affusolate, il modo in cui accarezzavano la mia pelle piano. Come se fossi qualcuno di prezioso da tenere in considerazione.
Poi ricordo l'effetto che mi faceva la tua voce, ricordo il calore allo stomaco e il mal di pancia che mi contorceva le viscere. Ma non ricordo più che suono ha. Non so più quale tonalità fosse, quale intonazione mi facesse più ridere o piangere.
Ricordo le camice bianche che sapevano di sapone per il bucato e limone. Ricordo il modo in cui la scostavo dalle tue spalle. Ma non ricordo più il tremore delle mie dita nel togliere i bottoni dalle asole. Nell'accarezzare le tue spalle distinte.
Ricordo i tuoi pantaloni eleganti e come fasciavano il tuo fisico asciutto. Ricordo lo sguardo compiaciuto che mi rivolgevi quando mi beccavi a fissarti.
-Ti piace quel che vedi?-.
Ma non ricordo il rossore che m'imperlava le guance. Non ricordo più la mia confusione o l'indecisione dei primi momenti.
Ricordo le tue labbra sottili, severe. Ricordo com'era sentirle sulle mie, ma non ricordo più che sapore avessero. Se fossero passionali o delicate.
Guardo il cielo grigio di fine Dicembre, la neve che cade piano, ineluttabile e mi fa pensare a te, a tutte le cose che sto dimenticando. A tutti i particolari che mi stanno sfuggendo. A quanto faccia terribilmente male.
Guardo i festoni natalizi argento e oro e penso a quanto abbia dovuto insistere per convincerti a comprarli e poi mi dimentico di come abbiamo litigato per decidere dove appenderli.
-Non capisco perché comprare dei festoni. Alla fine vanno rimessi nella scatola. Sono inutili-.
-A me piacciono. Puoi non contestare per una volta?!-.
-Sono inutili-.
-Questa discussione è inutile-.
Rimane solo la sensazione. Solo un attimo che fugge via nel mare dei nostri ricordi. Ed io non riesco a starci dietro. Non riesco ad afferrarlo.
Questo è stato il quarto Natale senza di te.
Ricordo quanto amavo abbracciarti la schiena e intrecciare le gambe intorno alla tua vita stretta lasciandoti baci delicati sulle scapole. Ma non ricordo più gli avvallamenti del tuo corpo. Non ricordo più la spigolosità delle tue ossa che bucavano leggermente le mie braccia.
Ricordo la tua pelle di alabastro. Il tuo candore pallido e il timore di spezzarti solo sfiorandoti. Ma mi sono dimenticata il tuo atteggiamento sprezzante nel ricordarmi che non eri fragile. Che non lo sei mai stato.
-Stringimi. Non avere paura-.
-Non ne ho-.
-Fammi sentire; anche se fa male-.
Forte anche nel dolore.
La finestra riflette il mio aspetto disordinato e guardando i miei occhi imprecisi ricordo i tuoi lineamenti perfetti, definiti, netti.
Calcolato in ogni centimetro, in ogni reazione.
Ma non ricordo più la tua follia, quella che ti ha unito a me.
-Voglio stare con te-.
-Si usa chiederle queste cose-.
-Sei mia-.
-Io non sono di nessuno-.
-Sei di chi ti ha visto dentro e ti ha scelto lo stesso-.
La neve riempie piano il davanzale della finestra a cui eri solito sederti per leggere un libro. Ricordo la tua gamba destra appoggiata sul cemento interno, il ginocchio piegato e il libro che ti sfiorava i pantaloni. L'indice e il medio che sostenevano la copertina, il pollice che, invece, teneva il segno della pagina. L'altra gamba a penzoloni verso il pavimento, le spalle leggermente incurvate e la tua solita espressione concentrata. Ma non ricordo più cosa riuscisse a strapparti dalla tua lettura e a farti alzare il capo verso di me.
-Non dovresti fotografarmi-.
-Sei il mio soggetto preferito-.
Ricordo il tuo sorriso, ma non cosa ti facesse sorridere.
Credo di averci lasciato il cuore in quei tuoi sorrisi; erano di quelli rari; del tipo che devi farne tesoro quando li vedi.
-Mi stai fissando-.
-Lo so-.
-E stai sorridendo-.
-Lo so-.
-Perché stai sorridendo?-.
-Ci deve essere per forza un motivo?-.
Ricordo la sensazione di averti vicino, come una continua scarica elettrica e ora mi chiedo se ci sia mai stata?. Se sarò mai in grado di provarla di nuovo.
Mi chiedo se i passanti che attraversano coraggiosamente le strade innevate di Londra sappiano cosa vuol dire. Se sappiano la fortuna che hanno nell'avere una vita serena. Ignari, felici.
Mi chiedo se quell'uomo con il capello ben stretto sulla testa e la sciarpa che gli copre il mento abbia una moglie da cui tornare, figli d'accudire.
Non sono mai stata brava con l'immaginazione, eri tu quello che sapeva inventarsi le storie.
Ricordo le sere passate davanti a quella finestra, uno di fronte all'altro, il tuo petto che si alzava e abbassava piano e tu che raccontavi la vita di un passante che aveva catturato la tua attenzione. La tua voce atona che tradiva una nota divertita, gli occhi grigi impegnati a studiare quel perfetto sconosciuto.
Solo che non ricordo più che cosa stessi facendo io. Non ricordo più come la mia attenzione non fosse sul paesaggio esterno, ma solo su di te. Sul tuo volto concentrato mentre mi raccontavi una storia nuova.
La mia preferita era quella della vecchietta con quel pinscher* storpio e mezzo cieco.
-La vedi quell'anziana signora?-.
-Sì-.
-La sua storia è la più interessante-.
Indossava sempre lo stesso cappotto di pelliccia anche in piena estate e portava in giro quel povero cane in un passeggino malandato con una borsetta rossa attaccata al manico.
Tu l'avevi guardata un attimo.
-Era una ricca ereditiera di Londra. Abitava nell'agio e nel lusso e frequentava solo persone del suo rango. Uomini e donne facoltose-.
-Cosa le è successo?-.
-È caduta in rovina. Abbandonata dal marito e dai figli spendaccioni che hanno sperperato l'intero patrimonio in belle donne e divertimento-.
-Poi?-.
-Trae conforto dal suo fedele cagnolino per non sentirsi sola. L'unico che le è rimasto accanto-.
Ricordo che mi fece ridere la tua espressione schifata nell'ipotizzare che lo baciasse pure, quando si sentiva troppo sola.
Ora ho dimenticato come si ascolta una storia. Non riesco ad ascoltarle e volto il capo dall'altra parte.
Ricordo parole sussurrate nel buio della nostra camera, il tuo fiato che mi sfiorava i capelli ricci, le tue braccia che mi avvolgevano.
-Sono stanca-.
-Sei bellissima-.
-Stupido-.
-Ti amo-.
-Sei uno stupido- ricordo di averti dato uno schiaffetto sul petto, sono sicura di aver sorriso -Ma ti amo anch'io-.
Soffio sulla tazza di The caldo che ho fra le mani e intanto guardo tutto quello che ci era famigliare.
Amavi il The tanto quanto la modestia che riservavi a te stesso.
-Vuoi forse insinuare che non sono il migliore?-.
-Non oserei mai-.
Ricordo le tazze sparse su ogni superficie; risultato di notti insonni, di incubi ricorrenti, di sensi di colpa dilanianti.
-Non riesci a dormire?-.
-Non riesco a smettere di pensare-.
-A cosa?-.
-Al passato-.
Ma ho dimenticato quanto le prime volte mi arrabbiavo per i cerchi dei bicchieri che lasciavano sui mobili di legno. Ora non riesco più ad arrabbiarmi per cose così.
Frammenti di te si nascondono in ogni angolo di questa casa e io ti penso. Mi sforzo di pensarti più a fondo, così forse non dimenticherò, forse sarò in grado di mantenerti in vita.
Forse immaginarti vicino al lavello mentre ti spruzzi il sapone per i piatti sulla camicia costosa cercando di renderti utile, potrà aiutarmi a calmare questo vuoto che sento così vivo dentro di me.
-Porca puttana-.
-Lascia faccio io-.
-Sembra fatto apposta per macchiarmi i vestiti-.
-No, semplicemente non sai usarlo- ricordo di essermi alzata in punta di piedi e di averti baciato una guancia -Ma grazie-.
Forse immaginarti è l'unica cosa che mi è rimasta.
Il silenzio di questa casa non è più piacevole come quello che c'era fra di noi seduti sul divano con una coperta addosso e la sola voglia di sentirsi accanto.
Mi manca e vorrei ricordare, vorrei poter dire che non scorderò mai il peso del tuo corpo sul mio, la pienezza di sentirti dentro di me mutando in un solo respiro. Una sola anima martoriata dalla vita che abbiamo vissuto prima di trovarci.
Ricordo la notte in cui ti ho incontrato. Pulivo il bancone dello squallido pub dell'angolo in cui lavoravo, era tardi e tu eri solo una figura indistinta in mezzo ad altre mille. Ho incrociato i tuoi occhi quando hai spintonato il "Buzzurro Larry", un operaio che lavorava nel cantiere a un isolato da lì e che la notte si sbronzava con i suoi amici di sostanza. Non mancava mai di lanciare le sue allusive proposte a qualsiasi barista riuscisse ad adocchiare.
Ricordo che lo hai urtato come se fosse stato una mosca insignificante sul tuo cammino.
-Che problemi hai amico?-.
-Non sono tuo amico- ricordo il tuo respiro lento, controllato. Il volto impassibile -Uno shot di tequila-.
Ed hai alzato lo sguardo su di me. Ricordo di aver pensato che uno come te doveva essere molto stupido o molto pericoloso.
La sera dopo sei tornato. Un'espressione austera stampata in viso e l'aria di chi aveva avuto una gran brutta giornata.
-Buonasera-.
-Lo sarà appena berrò la mia tequila-.
Ti ho versato lo shot e mi sono rimessa ad asciugare i bicchieri. Ricordo i tuoi occhi fissi su di me.
-Perché lavori in questa bettola?-.
-Copre le spese-.
Queste erano le mie massime aspirazioni nella vita.
Hai alzato un sopracciglio, mi hai fissato scettico, ma non hai detto più nulla. Hai mandato giù il tuo shot e sei rimasto in silenzio.
Ricordo la terza sera in cui sei entrato nel pub. Stavo servendo da bere ad una coppia di ragazzi che stavano per limonarsi sul bancone. Hai lanciato uno sguardo schifato verso di loro e hai preso posto sullo sgabello di fronte a me.
-Dovremmo uscire insieme-.
La tua voce era così ferma e sicura che se non ci avessi pensato un attimo avrei acconsentito subito.
-No-.
-Perché?-.
-Non ti conosco-.
-Per questo voglio uscire con te-.
-Potresti essere solo l'ennesimo tizio che staziona in questo pub malandato per dimenticarsi della sua vita di merda-.
-È esattamente quello che sono- ricordo di averti guardato cercando di capire se stessi scherzando -E tu lavori qui perché hai paura di qualsiasi cosa ci sia fuori da questa bettola-.
-Non mi stai affatto convincendo ad uscire insieme-.
-Siamo due sopravvissuti risputati dai bassi fondi del mondo. Questo è abbastanza per convincerti ad uscire con me?-.
Ricordo che siamo andati a mangiare la pizza in una squallida pizzeria d'asporto. Ma non rammento il nome né di cosa abbiamo parlato.
Ricordo che eri in piedi e stavi sorridendo con la mano tesa verso di me.
-Balliamo-.
-Qui? Ora?-.
-E perché non qui? Perché non ora?-.
Conducevi tu. Ma io sono sempre stata una frana nel ballo.
Ricordo noi due risalire un vialetto spoglio di una casa degradata. Ricordo la puzza di stantio e le finestre logore. L'odore di vino e cenere che impregnavano le pareti.
-Mamma. Lei è Hermione-.
Le ho stretto la mano senza esitazione. Era la mano di una donna che aveva perso tutto.
-Piacere, vuoi un po' di whisky?-.
Ricordo che mi hai trascinata fuori da quella casa, lontano da qualsiasi cosa significasse quella donna per te. Ricordo il silenzio pesante dentro la macchina, ma non ricordo le parole di conforto che ti ho rivolto. La tua voce lieve che mi raccontava la tua storia come facevi con i passanti di Londra dal davanzale della nostra finestra.
-Da quando mio padre è morto non c'è più molto con la testa-.
Ricordo la tua amarezza per la vita che tua madre aveva regalato all'alcol.
-Mi dispiace-.
-Non dispiacerti. Mi sono abituato-.
Io dei genitori non li ho mai avuti invece.
L'orologio ticchetta attaccato al muro della cucina. Scandisce piano il tempo che sta passando anche senza di te. Impassibile alla tua assenza. Sono un'anima che vaga fra le mura di questa casa, che ha perso la via del ritorno.
Non c'è ritorno senza di te.
Ricordo noi e nostri mille attimi insieme e poi non ricordo più nulla.
La tua voce, i tuoi occhi, le tue braccia intorno a me, le tue labbra sulle mie, le tue dita che mi sfiorano la guancia; momenti che stanno sfumando nella mia mente in ricordi dimenticati.
Ticchettano le lancette, segnano le otto. Il tempo è lento. È tiranno.
Ogni secondo lo sento pesante, lo sento parte della mia pelle; mentre tento di contare quelli che ho vissuto con te.
Due vagabondi senza meta che cercano di rimanere a galla, questo eravamo noi. Ma ora chi sono io, senza di te?. Sono priva di meta. Alla deriva.
Ti ho perso, come si perdono le cose dimenticate. Senza sapere come, senza accorgersene. La vita sembrava avermi dato il primo barlume di speranza per poi strapparmelo brutalmente dalle mani. Crudele come solo lei sa essere.
Tu non ci sei più, ma io sono rimasta qui. Sola al
mondo con il ricordo di te e di una felicità che ho potuto assaporare per brevi, brevissimi istanti.
Ricordo di aver urlato nel silenzio della nostra camera, di aver pianto nel calore dei cuscini che usavamo per accoccolarci sul divano. Avevano ancora il tuo odore addosso.
Ricordo di averti immaginato in piedi di fronte a me. Il volto severo, l'espressione furiosa, gli occhi gelidi.
-Alzati!- mi dicevi -Vivi!-.
Ma cosa dovrei vivere?. L'esistenza piatta che conducevo prima d'incontrarti?. Una nuova in cui tu non sei mai esistito?.
Non credo di esserne capace.
Non credo di poter fare finta di nulla.
Ti ho perso e forse mi sono persa anche io. Nelle ombre inquiete di questa casa, nel vuoto che hai lasciato, negli oggetti che erano quotidiani e che hanno la tua impronta impressa sulle loro superfici. L'impronta che hai impresso su di me.
Mi alzo dal davanzale indolenzita, fuori è ormai buio e un lampione mezzo rotto illumina ad intermittenza la via.
È tardi e le otto sono passate senza che me ne accorgessi. Anche stasera mi sono scordata di mangiare, come mi sto scordando di te.
-Ti ho portato un po' di insalata-.
-Oh... grazie non mi ero resa conto dell'orario-.
-Lo so. Per questo ci sono io-.
Ma tu non ci sei. Non ci sei più.
Ci siamo salvati io e te. Dal buio che c'era lì fuori in quel lembo di terra dove ci avevano relegati.
Ci siamo salvati dalle nostre esistenze devastate. Ero persa prima di trovarti e lo sono ora che non ci sei più.
-Quando non sopporti più nulla, dammi la mano-
-A cosa serve?-.
-A tenerti qui; a stare con me. Non siamo più soli-.
Ci avevo creduto. E l'ho fatto fino a che mi è stato concesso, a chi terrò la mano ora?.
Forse dimenticherò, forse un giorno non farà più così male. Forse è tutta una bugia che mi sto raccontando per convincermi che andrà meglio, che tornerò a vivere.
Ma non è così.
Ricorderò sempre. Ricorderò tutto quello che ho dimenticato, tutto quello che ho cercato disperatamente di dimenticare e ricorderò te.
Da tutta questa storia ho imparato poco, anzi avrei preferito non imparare affatto ad essere amata da qualcuno come tu hai amato me. Perché ora non potrei accontentarmi di nient'altro.
Curioso è come si può solo perdere da questa vita e, arrivati alla fine, non si perda neanche più.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 08, 2020 ⏰

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