1-the begin

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Io e mio padre viaggiavamo verso l’aeroporto con i finestrini della cabriolet rossa abbassati. Il cielo era così azzurro e perfetto, nessuna traccia di nuvole all’orizzonte.  il New jersey in quei mesi dell’anno dava il meglio di sé. Ma io non avrei potuto beneficiarne dato che mi stavo dirigendo verso la piovosa Inghilterra,posto da cui ero fuggito anni prima trasferendomi nella soleggiata e splendente New Jersey con mio padre, ma avrei dovuto capire che non sarebbe durata a lungo dopo la chiamata di qualche settimana prima di mia madre. E ora mi trovavo a fissare uno stupidissimo biglietto aereo di sola andata per una cittadina inglese sperduta nel nulla. Indossavo una leggera maglietta a maniche corte bianca, un paio di jeans neri attillati e stivaletti neri lucidi. Il solito vecchio Styles. Sospirai sperando che quello non scomparisse atterrato sul suolo inglese.

L’esatto luogo verso cui mi dirigevo si chiamava “Doncaster” città inutile come il suo nome, ma purtroppo ci viveva la mia cara mammina con “robin”il suo nuovo marito , uno sfigato a confronto  del mio padre biologico.

 Così: “Papà ma devo per forza? Sai che non voglio andarci” ormai erano ore che cercavo inutilmente di convincerlo. Non so neanche perché mi ostinassi tanto, sapevo che non sarebbe andato contro Anne Cox la sua adorata,ostinata, indistruttibile ex moglie.

“Figliolo, lo sai che non vorrei che tu andassi.. ma hai bisogno di stare un po’ con tua mamma. Poi io devo andarmene a Phoenix per motivi di lavoro” mi guardò dritto negli occhi e per un attimo ci rividi i miei. Quell’uomo ,ormai tutto rughe e capelli bianchi, che aveva appena accostato la macchina al marciapiede dell’ aeroporto pronto a lasciarmi andare dall’altra parte del mondo mi assomigliava così tanto eppure non sarebbe potuto essere più diverso da me. Addirittura per suo figlio, Des Styles, era un mistero.

Sospirai di nuovo per quella che sembrava la millesima volta in quel giorno e mi decisi a scendere per incamminarmi incontro a quel maledettissimo aereo.

Il volo dal New Jersey a Londra durava circa una diecina d’ore  e qualche ora di auto, e silenzi imbarazzanti, da lì a Doncaster.  Non mi facevo problemi per le tante ore di viaggio, amavo prendere l’aereo, ciò che davvero mi infastidiva erano  quelle ore di sorrisi falsi in macchina.

Devo dire che sia mia mamma che Robin si erano dati molto da fare nelle ultime settimane, arredando la mia vecchia- futura stanza, comprandomi un auto e iscrivermi al liceo statale della città. Mi sarebbe mancato il Ridge High School , ma non potevo fare a meno di notare lo sforzo che ci avevano messo per farmi sentire a mio agio dato che sapevano quanto odiavo stare lì.

Come avevo previsto il viaggio fu in qualche modo rilassante, ma una volta a terra una sferzata d’aria fredda mi investì raggelandomi, mentre una pioggia leggera che andava peggiorando, mi costrinse a stringermi nella mia leggera giacca di pelle per trovare un poco di calore. Non avrei mai potuto dire che fosse segno di cattivo presagio:era inevitabile il mal tempo, ormai al sole avevo detto addio.

Qualche minuto dopo Mi ritrovai ad abbracciare goffamente mia madre, che piangendo mi si era gettata addosso incrociandomi le braccia intorno al collo. Dovevo dire che quella donna così emotiva, e spesso nevrotica, mi era mancata .

“è così bello riaverti qui, Haz” mi sussurrò tra le lacrime. Non la vedevo ormai da ben 3 anni, non contando le chiamate via skype o facetime. Non mi vedeva fisicamente da quando avevo 15 anni, le ultime vacanze di Natale passate insieme. Dopo quelli che sembravano 15 minuti buoni di abbracci e sussurri confusi, si staccò da me per squadrarmi da capo a piedi. “sei cambiato così tanto! Guarda questi capelli.. non credi siano troppo lunghi? E guardati! Sei scheletrico! Farò una bella lavata di testa a tuo padre  quando …” sospirai “si mamma anche tu mi sei mancata” le sorrisi stanco e lei lo capì dato che mi strinse un braccio sulla vita e senza una parola ci incamminammo verso la sua macchina.

E proprio lì, appoggiato alla portiera dell’auto, ci aspettava l’uomo dell’anno: Robin, il nuovo marito di mia madre. Non mi piaceva per niente, e non perché lo considerassi la causa principale del divorzio dei miei, ma perché era uno sfigato totale. Non trovavo altro modo per descriverlo.

“Bentornato Harry” mi salutò con un cenno del capo e un sorriso appena accennato prima di tornare in auto e accendere il motore. Ora toccava a mia mamma sospirare. Il rapporto tra me e Robin non era mai stato dei migliori, con me che ogni volta che venivo a trovarli finivo per bucargli le ruote dell’auto, o mettergli la colla al posto del dentifricio, o anche quando gli avevo scambiato i grafici nella sua cartellina di lavoro con foto di donne nude. Risi sommessamente a quei ricordi.

Viaggiammo per circa un’ora tra le strade brulicanti e colorate del centro di Londra, piene di persone felici o terribilmente indaffarate, autisti arrabbiati per il traffico, ragazze e ragazzi che si divertivano. Luci che si confondevano con il tramonto che scemava dietro i palazzi, musica proveniente da centinaia di locali differenti. In un certo senso mi ricordava una New York più piccola.

Poi però cominciarono le grandi colline e prati verdi, case più rade e il mio entusiasmo si spegneva sempre più. Fin a quando arrivammo ad una strada segnata da un enorme cartello sulla destra che ci indicava che non ci trovavamo più a londra o altro ma che stavamo entrando ufficialmente a “Doncaster”. Lì il mio entusiasmo si era suicidato. Sembrava essere il mio inferno personale. O almeno così pensavo.

Dopo gli auguri di buonanotte di mia mamma e un cenno della mano da Robin, salii le scale e mi diressi dritto verso il bagno. Era l’unico bagno nell’intera casa, aveva le piastrelle color giallo chiaro e una grande finestra al lato destro del lavandino che dava sul piccolo giardino dietro casa, quasi servisse a compensare la mancanza di sole in Inghilterra. Sospirai ancora e mi guardai allo specchio, non potei fare a meno di sorridere pensando che avevo il classico aspetto di un ragazzo inglese nonostante avessi passato anni, estati in New Jersey. Cioè sarei dovuto essere abbronzato,un tipo che vive di canottiere e sole, ma invece a chi mi vedeva per la prima volta sembravo sempre il ragazzo appena arrivato da un posto dove il sole non si affaccia nemmeno per sbaglio. Con la mia pelle chiara ,i miei occhi verdi, i miei riccioli disordinati e la mia personalità aperta comunque facevo sempre colpo, abbronzato o meno. Allora perché mi sentivo così nervoso a dover ricominciare?

Quella notte non riuscii a dormire granché, neanche dopo aver pianto a dirotto. Poi il costante sbuffo di vento e pioggia sulla finestra non aiutava di certo mantenendo nascosti i miei singhiozzi. Mi coprii la testa con il piumone pesante, ma non bastava così aggiunsi un cuscino immaginando che il rumore della pioggia che s’infrangeva violentemente contro il vetro,  in realtà fossero onde che si infrangevano sulla spiaggia deserta nella mia vecchia casa delle vacanze a Los Angeles. Presi sonno soltanto dopo la mezzanotte, quando il temporale si trasformò in una pioggerella appena accennata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 28, 2014 ⏰

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