Capitolo 7.
“Senti, George… sono un po’ stanca, non mi va di fare tardi, non stasera. Scusami.” – Dissi sedendomi su una panca di legno del backstage, dovevo dare di nuovo buca a George e avrei dovuto trovare una scusa credibile, non potevo di certo dirgli che avrei trascorso la notte con il suo capo, era troppo presto per far sapere di noi, quindi mi spremetti le meningi un bel po’ prima di convincermi a parlargli.
Ovviamente l’essere stanca non avrebbe mai fatto la sua bella figura, ne ero più che consapevole, ma non sapevo cos’altro inventarmi, ero sempre molto felice di uscire con lui e Selene e in quel momento non sapevo come dirgli di no.
“Alex, mi spieghi che ti prende? Sei strana, cosa ti succede?”
Guarda, cosa mi succede non lo so nemmeno io e se lo sapessi probabilmente non sarei nemmeno qui a parlare con te come se niente fosse, ho più cazzi io per la testa che una prostituta il sabato sera, mio caro.
Si, sono molto fine, lo ammetto, ma davvero… è una situazione complicata la mia.
“Ma niente, sono solo stanca, davvero.”
Ribattei cercando di sembrare più convincente, ma George sembrava non voler cedere, mi guardava attentamente negli occhi come se volesse scoprire attraverso di essi qualche indizio sui miei ripetuti ‘no’ ai suoi inviti.
“Mi stai nascondendo la presenza di un uomo, me lo sento.”
“Possibile che se una donna disdice un appuntamento deve avere per forza un uomo?” – Dissi scoppiando in una rumorosa risata, era una risata un po’ finta in verità, ma per fortuna mi era ben riuscita, se nel caso mi fosse andata male la carriera da truccatrice avrei intrapreso quella di attrice, ne ero più che convinta.
“Si, è possibile. Posso sapere almeno chi è? Aspetta… è Chris, vero? Si vede da come ti guarda che è stracotto, è lui sicuramente.”
Accidenti, George, ma che lingua lunga e che curiosità da bambino!
“No, George, non è lui.”
“Non è lui? Ma allora c’è un uomo! E’ Paul? No… John? Matt?”
Li stava elencando tutti, peccato che forse il mio ‘uomo’, se così potevo definirlo, non faceva parte dello staff, in realtà era impossibile che lui riuscisse a capire che fosse Michael, quindi continuavo a ridere e a scuotere il capo velocemente mentre George elencava tutti i ragazzi presenti all’History World Tour.
Il concerto era appena terminato, era andato alla grande e fu un enorme successo, tutti i presenti applaudivano e urlavano continuamente ed era impossibile alcune volte riuscire a sentire la voce di Michael, che gran parte delle volte era coperta dalle urla delle persone che stentavano a credere di averlo davanti ed era più che comprensibile.
In realtà anche io stentavo a credere che fosse Michael, non vorrei essere fraintesa, sapevo che fosse lui ma… vederlo sculettare e muovere il bacino in quel modo mi faceva uno strano effetto, soprattutto se poi focalizzavo la mia attenzione su quello che era successo a Praga, aver baciato Michael Jackson, ovvero l’uomo che faceva impazzire le donne (e la sottoscritta) con i suoi movimenti sensuali del bacino… beh, era una strana sensazione.
Ero stata a conversare con George dietro le quinte per tutta la durata dello spettacolo, eravamo andati anche prenderci qualcosa da bere (senza esagerare) e quando Michael scese dal palco mi lanciò un’occhiata strana, non sapevo come catalogarla, sembrava un po’ infastidito forse dal fatto che io fossi con George a chiacchierare, fu questa la prima impressione che ebbi e così decisi di seguirlo in camerino, forse era stato soltanto preso da uno dei suoi capricci momentanei.
“Michael, posso entrare?” – Dissi aprendo lentamente la porta, aspettando una sua risposta o almeno un suo cenno che mi facesse capire cosa diavolo gli stesse passando per la testa in quel momento.
“Si…” – Sussurrò.
Era seduto su un divano blu chiaro ed aveva addosso ancora gli abiti di scena, ovvero un pantalone di cotone nero, i soliti mocassini e una giacca militare color argento con dei lustrini reduce dalla sua ultima canzone in scaletta.
Era sudato, ansimava rumorosamente e delle goccioline gli scorrevano sul viso, rendendolo ancora più bello.
Mi sedetti accanto a lui e gli poggiai una mano sulla gamba accarezzandogliela da sopra al tessuto del pantalone, riuscivo a sentire i muscoli delle gambe irrigidirsi e non era un buon segno, era troppo nervoso.
“Sei stato magnifico, non ho parole.”
“Forse perché le hai consumate tutte con George.”
Ah, ecco, adesso capisco, questa risposta sembrava l’avesse preparata e studiata perfettamente per farmi girare le… scatole.
“Smettila, dai.”
Mi avvicinai per baciargli le labbra, ma non appena ero arrivata a pochi millimetri dalla sua bocca lui si spostò velocemente, sorprendendomi del tutto.
“No, sono stanco.” – Disse alzandosi di colpo dal divano e togliendosi la giacca, posandola accuratamente nell’immenso guardaroba accanto a noi.
“Michael ma… che ti prende?”
Lo raggiunsi davanti allo specchio al quale si era appoggiato con le spalle esercitando tutto il suo peso e masticando nervosamente una gomma.
“Niente, ho solo detto che sono stanco.” – Disse sfilandosi la maglietta bianca e rimanendo a petto nudo, guardandomi intensamente.
“Sei già stanco di me? Non riesco a capirti, davvero. Il tuo comportamento è assurdo, completamente! Sei un bambino, cresci, Michael.”
“Scusa, piccola. Non mi va di litigare, non con te.” – Disse scuotendo il capo leggermente e poggiandomi una mano sul mio viso, accarezzandomi una guancia.
Diciamo che bastò quel ‘piccola’ per farmi sciogliere completamente e per farmi cadere ai suoi piedi, ma dettagli, era armonioso il modo in cui lo diceva, era così bello, lui faceva sembrare tutto più bello.
“Michael, abbracciami, ti prego.”
Non se lo fece ripetere due volte e mi strinse tra le sue braccia, poggiai la testa sulla sua spalla e di nuovo quel magnifico profumo mi mandò fuori di testa, aveva la pelle liscissima che sembrava volesse spingerti a toccarla.
“Mi sei mancato da morire.” – Dissi stampandogli un leggero bacio sul petto caldo e bagnato dal sudore, facendolo rabbrividire.
“Dillo di nuovo, per favore.”
“Mi sei mancato, Michael.”
Avvicinai il mio viso al suo e gli sussurrai quelle parole nell’orecchio, volevo che fosse una cosa soltanto ‘nostra’, volevo che solo lui sapesse quanto mi era mancato in quelle ore, erano soltanto poche ore, ma mi era mancato come l’aria.
“Non me l’ha mai detto nessuno…” – Disse mordendosi le labbra e abbassando il capo, rattristato.
“Nessuno ti ha mai amato quanto ti sto amando io.”
“Cosa hai detto?”
Oddio, cosa ho detto?
Alzò di colpo lo sguardo verso di me, aveva le lacrime agli occhi e in quel momento una goccia scivolò via per fermarsi sul suo collo, dove io poggiai le mie labbra per racchiuderla in un bacio.
“Che ti amo… Michael.” – Dissi con la voce roca e interrotta a tratti dai baci che gli stavo posando pian piano sulle parti della sua pelle scoperta, scendendo sempre più giù fino all’elastico dei suoi pantaloni dorati.
Si, ero riuscita ad ammetterlo, lo avevo ammesso non solo a Michael ma anche a me stessa, io non avevo mai amato nessuno, quella era la mia prima volta e non sapevo cosa fare, come comportarmi e come… amarlo.
Io non sapevo amare.
Ritornai sulle sue labbra sottili coinvolgendole in un bacio intenso che mi fece appoggiare al suo corpo, fu lui a prendere l’iniziativa per un attimo cominciando a baciarmi e a leccarmi il collo lasciando scie umide su di esso ad ogni suo tocco, c’era un silenzio intorno a noi interrotto soltanto dai nostri sospiri e dai leggeri gemiti che mi lasciavo sfuggire ogni volta che lui mi sfiorava.
Eravamo tranquilli perché pensavamo che se ne fossero andati già tutti, ma ci sbagliavamo di grosso perché in quel momento la porta si spalancò di colpo, lasciando scorgere la figura di… George.
Un tempismo da record, proprio. Quell’uomo meritava un premio… il ‘Come ti rovino l’intimità Awards’, un applauso.
Michael improvvisamente arrossì in faccia e mi guardò spaventato, io in realtà ero più che altro preoccupata, anzi mi sentii a disagio perché dopotutto lui era un mio amico e farmi sorprendere da lui in atteggiamenti di quel tipo era orribile e imbarazzante, appunto.
“Ehm… scusate, scusa Michael ma… ero venuto per dirti che… che lì fuori ci sono delle ragazze che vogliono incontrarti e…” – Balbettava in un modo mai sentito prima, il suo viso era diventato improvvisamente di un rosso acceso che sembrava volesse dimostrare quanto si sentisse in imbarazzo per aver aperto quella porta.
“Oh, si arrivo… subito.”
Dopo la sua risposta la porta si chiuse di colpo emettendo un gran rumore e lasciandoci lì da soli, di nuovo.
“Cazzo, è proprio un bel casino… scusami Michael, è colpa mia.” – Dissi allontanandomi da lui e prendendo la borsa che avevo lasciato sul divanetto, ma Michael fu molto rapido nel raggiungermi e fermarmi prima che potessi andarmene.
“No, non è colpa tua, stai tranquilla. Mi sono lasciato andare anche io e qui non potevamo, ma prima o poi qualcuno lo avrebbe scoperto.”
“E’ un grande problema perché tu sei Michael Jackson ed io Alexandra Brown, la tua truccatrice.”
“Anche Michael Jackson può avere una donna, lo sai? Non mi interessa, se fosse per me lo direi al mondo che…”
Mi aveva poggiato un braccio dietro la schiena e in quel momento avevo la testa sul suo petto, riuscivo a sentire i battiti veloci del suo cuore mentre pronunciava quella frase, una frase che però non riuscì a terminare, lasciandomi di sasso.
“Cosa? Michael, cosa diresti al mondo?”
“Che… che ho una donna bellissima.” – Disse stampandomi un leggero bacio sulla fronte e prendendomi il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo nei suoi occhi così profondi che quasi mi ci perdevo dentro.
“Facciamo così: adesso metto qualcosa addosso, incontro quelle ragazze e torniamo in hotel, va bene?”
“Va bene, allora ti lascio fare… a dopo.”
“Alex, andiamo insieme, ti va?”
“Si, ma… io cosa c’entro? Loro vogliono vedere te, non me.”
Infatti, cosa c’entravo io in tutto quello? Assolutamente niente.
“Tu stai con me, quindi ti porto dove mi pare.”
Velocemente afferrò una camicia verde (quella che adoravo, si.) e la indossò, abbottonando con cura ogni singolo bottone che gli capitava tra le dita, poi si portò le mani dietro alla testa cercando di legarsi i capelli, ma senza riuscirci, così decisi di correre in suo aiuto.
“Lascia fare a me, Jackson.” – Dissi sfilandogli dalle mani l’elastico e raccogliendo i suoi capelli con una coda bassa, soffermandomi ad accarezzargli i ricciolini a lavoro finito.
Mi tirò a sé mordendosi le labbra e mantenendomi per i fianchi, si passò la lingua tra i denti e poi si avvicinò al mio orecchio, intento a sussurrarmi qualcosa.
“Piccola, mi fai impazzire quando mi chiami Jackson.”
“Tu invece mi fai impazzire quando indossi questa camicia.”
Poggiai la mia mano sul taschino della camicia e ne accarezzai il tessuto fino ad arrivare all’ultimo bottone.
“Molto romantica, davvero. Dì la verità, non vedi l’ora di strapparmela di dosso, è vero?”
Dov’è finito il Michael che arrossiva ogni sacrosanta volta che mi guardava? Mi piaceva quel lato ‘ingenuo’ di lui, ma amavo anche quel nuovo lato sensuale che avevo appena conosciuto, era molto attraente, davvero.
“Andiamo, prima che quelle donne lì fuori te la strappino per davvero. E poi sarebbe un peccato, ti sarà costata tanto, immagino.”
Si lasciò sfuggire una leggera risatina, l’idea di farlo stare bene anche per poco mi riempiva l’anima, era bello vederlo ridere e poi aveva una risata così contagiosa capace di farti ridere anche per una cretinata.
Prima di uscire dal camerino sentii una grande e calda mano accarezzarmi una parte di gamba scoperta dal vestito, per poi raggiungere la mia intrecciandola con la sua.
Non avevo idea di cosa avesse in mente, era molto sorridente e sembrava volesse farsi vedere in pubblico con me al suo fianco; non che io non volessi, ma mi sembrava forse un po’ troppo presto per una cosa del genere, in fondo io lavoravo anche da poco con lui e avevamo una ‘relazione’ da altrettanto poco tempo, ma era così convinto e determinato che mi rassicurò.
Provavo una strana sensazione nel vederlo camminare accanto a me tenendomi la mano, sembravamo due fidanzatini pronti ad andare al cinema per il loro primo appuntamento, ma noi non eravamo due ragazzini, eravamo un po’ cresciuti e sapevamo entrambi come funzionavano quelle cose, io avevo venticinque anni e lui trentotto e alle fiabe non ci credeva più nessuno.
Forse Michael ci credeva anche e non sarei rimasta sorpresa da questo fatto, sapevo quanto gli piacessero le cose appartenenti al mondo dei bambini e così mi lasciai trasportare dalla sua voglia di vivere una storia, anzi una vera e propria favola nel mondo degli adulti.
Continua…
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She was a heartbreaker.
RomanceLondra, 1996. Non sopporto le star e il loro modo altezzoso di comportarsi, ma il mio lavoro spesso mi porta a conoscerle. History World Tour, Michael Jackson. Cominciamo già bene, molto bene. *SONO PRESENTI SCENE DI SESSO DESCRITTO.* Sequel: 'She w...