Capitolo 1: Il gioco della sorte

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Ci sono un sacco di luci colorate a illuminare la sala, e il solo pensiero che quella sera sia il prodromo del disfacimento del suo gruppo, proprio non gli va giù. Si guarda intorno, il parquet per terra è molto consumato e le sedie di legno che sfregano di continuo su di esso non aiutano, ma ama il Friends Garden anche per il pavimento, le sedie che cigolano e le troppe persone che infestano la stanza prenotata da Sasha, anche se non invitate. Eppure quella sera nessuno va da Kuro, il direttore del locale, a contestare la situazione: tutto diviene estremamente leggero, per dei diciannovenni che sanno di star lasciando alle spalle una vita per iniziarne un'altra.
Una volta Kuchel, sua madre, gli ha detto proprio questo: per iniziare una vita nuova, devi lasciar andare la vecchia, o qualcosa del genere.
Non ci ha mai creduto fino a quell'istante, forse perché è vero che le situazioni non si capiscono finché non ci si ritrova impantanati fino al collo.
C'è una strana vibrazione nell'aria, qualcosa che rasenta l'eccitazione e la paura, l'avverte, e sa che i suoi amici riescano a fare lo stesso, mentre bevono, ridono, cantano senza un freno con una chitarra malmessa. Vogliono vivere fino in fondo quella giornata, sin dal momento in cui hanno aperto gli occhi per andare a Miyazu per un bagno a mare, sino all'istante in cui, quando sarà notte fonda, dovranno lasciarsi.

E allora Levi si volta, sente una priorità premergli in petto, e ha bisogno di ricordarsi quanto sia fondamentale realizzare gli ultimi desideri che ha maturato col tempo, prima che il ventre della clessidra sia del tutto saturo. Troppe emozioni lo coinvolgono alla vista di Eren, sorriso sincero che gli si aggancia agli occhi, brillanti sotto le luci aranciate. Egli non tarda a notare di essere il fulcro della sua attenzione, così si congeda subito dalla conversazione con Sasha per poterlo raggiungere, e Levi, mentre lo guarda avvicinarglisi compiaciuto, è assolutamente inconsapevole di ciò che ha intenzione di dirgli a distanza di qualche ora.

-Hey, allora, che te ne pare? Io e Jean abbiamo fatto un ottimo lavoro, ammettilo!- esclama fiero, rifilandogli una gomitata per sollecitarlo a porgergli i suoi complimenti.

-Assolutamente. Questo renderà il tutto più dolce.- risponde con sarcasmo, avvelenato da un'amarezza che si alterna continuamente a paura, nostalgia, affetto. Quella sera più che mai non le riesce a gestire tutte insieme, ed Eren, che lo conosce dall'infanzia, se ne rende conto.

-Non è la fine di nulla, Lee!- tenta di richiamare quel timore per rassicurarlo sull'avvenire, ma sono mesi che Levi è divenuto ingestibile. D'altronde, passare dall'essere vicini di casa, sino al perdersi totalmente perché l'uno vivrà a Tokyo, e l'altro a Sidney, non è la prospettiva futura che più lo alletti in assoluto.

-No, giusto, è l'inizio di una nuova, eclatante avventura!- lo sa di risultare pesante, ma con Eren, occhi verdi e capelli pazzi, non si sforza neppure di apparire migliore di quanto sia. Perché è così che si sente quella sera: pesante come un masso, e ha bisogno egoisticamente di vomitare tutte le emozioni negative che gli torcono lo stomaco su qualcun altro.
Eren è la spalla perfetta in quella situazione, non c'è bisogno neppure che si scusi di essere così snervante quando si tratta di lui, ed infatti il ragazzo lo rassicura con -Ma come, già non ricordi più quello che ti ho detto?-

Ricorda, Levi, non saprebbe neppure che metodo adottare per dimenticare una singola parola pronunciata da Eren. E infatti mica ha dimenticato la prima volta che gli ha parlato, quando l'amico gli urlò "Scusami, non volevo!" a sette anni senza un incisivo nella bocca ampia e con le braccine graffiate. No, non era stata intenzionale quella pallonata in testa che aveva ricevuto involontariamente dal "piede storto" di Eren (così l'avrebbe chiamato negli anni successivi, e quello era il titolo che gli era stato attribuito nella squadra di calcio alle medie e al liceo) mentre stava giocando con Jean sulla sponda del lago Ebagurin. Che poi, perché mai giocare a calcio in quella zona? Ed infatti il pallone, a causa proprio del tiro maldestro del giovane Jaeger, non aveva risparmiato Jean dal bagnarsi i bermuda per recuperarlo.

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