Capitolo 5

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Thalia

Il venerdì sera arriva in fretta. Paradossalmente, le serate del weekend sono quelle meno impegnative per me, poiché i signori Brown sono sempre presi da qualche evento mondano e i figli sono impegnati con feste ed uscite con gli amici. Mi capita spesso di restare sola a casa e mi tengo compagnia con la tv o con qualche libro: ormai ho finito quasi tutti quelli della loro libreria e temo il momento in cui non potrò fare altro se non riiniziarli.

Questo venerdì sera, l'aria che aleggia per l'enorme casa dei signori Brown non è tranquilla come è solito nei fine settimana. Oggi è stato l'ultimo giorno di scuola anche per Brandon e Raven e nel pomeriggio hanno invitato alcuni amici in piscina: ovviamente, sono stata chiusa in camera. Ma, anche ora che i loro amici se ne sono andati, avverto molto movimento fuori dalla mia stanza.

Aidan non c'è. Non c'è stato tutto il giorno, quindi non ho idea di quali siano i suoi piani, anche se in realtà è l'unica informazione che mi piacerebbe avere. Non che gli altri mi tengano aggiornata sui loro spostamenti, ma ho imparato ad essere una brava osservatrice ed ascoltatrice.

Sono seduta sul letto, la schiena poggiata al muro, le ginocchia incollate al petto e circondate dalle mie braccia esili. Guardo verso l'alto e, con gli occhi chiusi, respiro: mi rilassa. Una volta la signora Brown mi ha visto farlo e ha detto che anche lei fa quest'esercizio durante il corso di meditazione.

Non sapevo servisse un corso per respirare.

Sto cercando di svuotare la testa da tutti gli avvenimenti dei giorni passati: le notti trascorse in camera dei signori Brown ma – soprattutto – la punizione di Aidan. E lo sguardo attento e affamato di Noah.

Dopo ormai tre giorni, le articolazioni si sono sciolte e non provo più il fastidio e l'ingessamento che ho sentito nei muscoli quando mi sono svegliata sul letto comodo di Aidan dopo quella punizione. Lui era lì. Mi ha guardata come se fossi la cosa più preziosa che possiede – ma non lo sono: non lo sono perché è pieno di soldi e perché, tecnicamente, sono i suoi genitori a possedermi. Non lui.

Nonostante si faccia chiamare padrone.

Ubbidire e compiacere la persona a cui appartengo è tutto ciò che ho imparato a fare, al punto che mi piace. Vivo della soddisfazione di chi servo e mi eccito alla consapevolezza di appagarlo: è sempre stato così con i signori Brown e, questo mio modo di essere, è sempre stato accompagnato da una certa consapevolezza e serenità riguardo ciò che sono per loro.

Ma Aidan – Aidan incasina il mio cervello al punto che non sono più neanche certa di sapere come mi chiamo. Gola, pancia e petto si annodano ogni volta che mi sfiora e i nodi sono così stretti da non riuscire mai a scioglierli, neanche con unghie e pazienza. Questo mi terrorizza: lo temo perché non lo conosco, perché mi destabilizza, perché mi costringe a disubbidire (o meglio, a scegliere tra lui e i signori Brown), perché non riesco a capirlo, perché non riesco neanche a guardarlo in quegli specchi azzurri...

Non faccio in tempo a crogiolarmi nell'ipotesi che torni a casa, questa sera, e richieda la mia compagnia, che sento bussare alla porta della mia stanza. A giudicare dai passi che hanno preceduto quel rumore, direi che è il signor Brown.

«Avanti.» Lo invito, timidamente. Non potrei mai tenerli fuori dalla mia stanza se volessero entrare – non c'è neanche una chiave – ma trovo carino che bussino.

Lui abbassa la maniglia dorata, apre la porta con sicurezza e mi cerca con lo sguardo. Quando individua la mia figura raggomitolata sul letto, mi sorride e fa qualche passo nella mia direzione, accostando la porta alle sue spalle.

Ha una camicia bianca addosso – un polsino abbottonato e l'altro no, immagino si stia preparando per uscire. Vuole che gli faccia il nodo alla cravatta?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 17, 2020 ⏰

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