Capitolo 1

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Thaila

Una risata cristallina fa vibrare la sottile porta della mia stanza; prima che possa rendermene conto, mi ritrovo con l'orecchio incollato al legno verniciato di bianco, come attirata da quel suono stregato.

«E' davvero bellissima.» Sono piuttosto convinta che siano parlando di me, l'ho capito dal modo in cui mi hanno chiesto di andare a chiudermi in camera, solo un paio d'ore fa. Eppure, sentendo quelle parole, inizio involontariamente a mangiucchiarmi le unghie per il nervosismo: vogliono vendermi a qualcun altro? Il solo pensiero mi fa venire la nausea.

I Brown sono gli unici padroni che io – all'età di diciotto anni – abbia mai avuto, oltre al mio padrino, ovviamente; nonostante io non abbia la possibilità di fare grandi paragoni, non credo che sarei mai potuta capitare meglio di così: i Brown sono due signori che hanno poco più di cinquant'anni, estremamente ricchi – immagino tu debba esserlo per comprarti una schiava – e sempre molto gentili e attenti al mio benessere: non mi fanno mai mancare nulla. Questo, fuori dalle lenzuola. A letto... beh, a letto sono violenti e insaziabili ma, d'altronde, è lo scopo per cui mi hanno comprata, e ciò per cui sono stata addestrata per anni.

Ogni volta che mi chiedono di raggiungerli in camera, mi inginocchio accanto alla porta, il sedere appoggiato ai talloni e le mani sulle cosce, come mi ha insegnato il mio padrino. In quell'esatto istante, tutto ciò che ha occupato la mia mente durante la giornata svanisce ed il mio corpo inizia a muoversi da solo, rispondendo agli ordini senza chiedere prima il permesso al mio cervello. Essere una schiava sessuale è parte di chi sono oggi: la considero la mia natura, il mio scopo. Vivo ogni instante in questa casa in funzione del momento in cui i Brown – o uno dei loro figli – mi chiederanno di soddisfarli; quando ciò non accade, mi sento persa e inutile.

Cerco di captare altre parole attraverso la spessa porta della stanza in cui mi permettono di soggiornare: nulla. Mi siedo sul letto... è comodo, il più comodo in cui io abbia mai dormito. I signori Brown continuano a chiamarlo il mio letto e la mia stanza, ma i loro tentativi di non farmi sentire fuori posto non riescono a sovrastare le parole che il mio padrino era solito ripetermi: «ricorda, nulla è più tuo. Neanche il tuo corpo.»

Mi osservo le mani e le dita che, autonomamente, cominciano ad intrecciarsi l'una all'altra. Ho disubbidito? Si sono stancati di me? Perché vogliono darmi via? Una volta una ragazza che viveva con me mi aveva detto: «Tu dai troppo. Appartieni troppo.» Lì per lì quelle frasi non avevano avuto molto senso. «E' questo che ci insegnano a fare: appartenere incondizionatamente» avevo risposto, con una scrollata di spalle.

Lei mi aveva osservata attentamente per qualche secondo, un sorriso amaro piegato sul viso. Era sicuramente più grande di me.

«Se continuerai a farlo, prima o poi qualcuno ti spezzerà il cuore. Più di quanto ti possano spezzare il corpo.»

Non avevo capito, o forse non avevo voluto farlo. Ma in ora, chiusa nella stanza ordinata che i signori Brown mi lasciano occupare, sento il mio cuore sull'orlo del tracollo.

Sono ormai sette mesi che mi sono trasferita a casa loro. Non sono moltissimi, ma mentirei se dicessi che non ho trovato un mio equilibrio: so le regole, so cosa gli piace, cosa li infastidisce e quali sono i piccoli gesti invisibili che non notano consapevolmente, ma che li portano a predisporsi meglio nei miei confronti. Riiniziare daccapo con dei nuovi padroni sarebbe estenuante.

I signori Brown sono venuti alla tenuta quando mi mancavano ancora due mesi ai diciotto anni, ma non ne hanno voluto sapere di comprare una schiava che fosse già maggiorenne: volevano me. Così hanno aspettato. E se fosse questa la loro perversione? Schiave appena legali. Ormai sono più vicina ai diciannove che ai diciotto, forse è questo il motivo per cui vogliono mandarmi via.

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