MADERA

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Il cielo era pieno di stelle, il color nero ebano metteva in risalto il loro luccichio ed il pallore della Luna. Per le strade la vita pulsava con prepotenza: persone, rumori, luci e sirene creavano una cacofonia estremamente sublime per chi iniziava la giornata quando il sole tramontava all'orizzonte. Quando non restava traccia del traffico delle ore di punta, dei venditori ambulanti, delle scolaresche, degli imprenditori sempre di corsa e delle masse attratte dalla città, scendeva il silenzio. Un'assordante quiete prima della tempesta.

Le luci dei portoni aperti, dei lampioni delle vie, delle piazze e dei locali illuminavano la città, conferendole il suo aspetto più seducente. Code interminabili di persone euforiche affollavano le porte dei più ambiti locali della città: un fremito percorreva l'attruppamento all'idea di prendere parte alla danza di bevute, mozziconi di sigaretta e favori. Non c'era fila o attesa che superasse quella delle persone accalcate davanti al Madera.

Era una struttura imponente, dalle facciate nere come il peccato, fatta eccezione per quella principale, tutta vetrate, disposta su più piani. Alcuni dei clienti più prestigiosi avevano perfino a disposizione una piattaforma per elicotteri, di modo da poter raggiungere il luogo con il massimo riserbo, e con la massima comodità. Alcuni dei più bravi musicisti si esibivano dal vivo, i ballerini erano professionisti, la qualità dei liquori e dei vini serviti impareggiabile, le scommesse e le partite di poker da capogiro.

Trovarsi all'esterno di quella costruzione era a dir poco intimidatorio, ma la promessa di quello che offriva l'interno teneva le persone incollate alle porte severamente sbarrate a chi non in lista. Stare in quelle sale, fra gli agi ed i lussi, dava l'impressione di essere immersi in una fusione caotica e totalmente casuale, quando in realtà rappresentava una scacchiera ben organizzata, per chi sapesse giocare. Un vero e proprio esercito di camerieri e cameriere slittava tra i clineti con una grazia che poteva essere paragonata a quella dei ballerini disposti per le sale. Su vassoi d'argento si ergevano i calici di cristallo colmi dei più pregiati vini, dei liquori esatoci più rari, di modo che perfino il palato più raffinato e particolare potesse essere assecondato. Non c'era occasione, o presenza, che non meritasse di essere festeggiata, non c'era uomo o donna chce sedendo su quelle sedie e sui divanetti imbottiti non si sentisse l'imperatore- o l'imperatrice- di una porzione d'esistenza. L'opulenza c'era, ma era ben dosata, era quella la chiave: chiunque varcasse le porte del Madera sentiva di avere molto, moltissimo, ma non tutto. Ragion per cui avrebbe datto di tutto per tornarvi.

Sebastian Moncada sedeva al solito tavolo, quello con una visuale su tutto e tutti, sebbene ben riparato.

"Martini continua a posticipare l'ordine." parlò l'uomo che gli sedeva dinanzi. Si trattava di Mattia Santoro, il capo della sicurezza. Almeno questo veniva citato nei documenti ufficiali. Non era semplice per lui parlare con Moncada: era risaputo che fosse un uomo difficile. In quel preciso istante aveva occhi per chiunque, tranne che per lui. Ma lo ascoltava con molta attenzione.

"Martini sa con chi ha a che fare. Pagherà per tempo." Sebastian ripassò l'orlo del proprio bicchiere di whisky con le dita, il ghiaccio tintinnò contro il cristallo quando bevve.

"E se non dovesse farlo?" Santoro pose la domanda con un leggero timore. Per certi versi sapeva già la risposta. Gli occhi glaciali di Moncada lo guardarono per la prima volta, ma questi non ebbe tempo di dire nulla. Una donna dai capelli cortissimi e rossi giunse alle sue spalle, quindi gli parlò con voce contenuta: "Ruggeri propone di offrire una bottiglia di Masseto del 2010 al tavolo 9. Sono in quindici e festeggiano un compleanno. Per ora hanno speso tre volte il valore della bottiglia."

Santoro, incuriosito dalle parole della donna, allungò il collo verso il tavolo 9: era abbastanza lontano dal loro, ma anche abbastanza grande da dare nell'occhio. Tornò quindi con lo sguardo alla donna e Moncada. Sapeva bene che regalare una bottiglia di quel valore non era un gioco da ragazzi, ma non comprendeva come mai dovessero avere il permesso di quell'uomo. Questi, quasi l'avesse letto nel pensiero: "E' uno dei miei vini." gli rivelò, senza affrettarsi minimamente per dare una risposta alla donna alle sue spalle. Solo allora il suo sguardo andò al tavolo in question. Lo osservò con attenzione prima di parlare: "Chi è il festeggiato?"

"La signorina col vestito rosso. Quella sulla sinistra." non era difficile notarla, vista l'enorme torta che le avevano piazzato di fronte. Moncada aguzzò ulteriormente la vista, e si prese tutto il tempo necessario per studiare il soggetto prima di dare una risposta: "Non il Masseto. Porti il Monfortino, della stessa annata." la donna assentì "E le dica che è da parte mia." aggiunse prima di congedarla. Continuò a guardare nella direzione del tavolo, sorseggiando whisky.

"Se Martini si dovesse rifiutare di pagare- riprese come se non fosse mai stato interrotto- l'affare non sarebbe più di tua competenza." quindi guardò di nuovo l'uomo che sedeva al suo tavolo. Mattia Santoro venne percosso da un brivido di disagio: l'uomo avrebbe fatto meglio a sistemare i propri affari. Si alzò dal tavolo.

"Se questo è tutto.."

"E' tutto." rispose Moncada, i cui occhi seguivano la donna dai capelli rossi. Ora reggeva in mano una bottiglia di vino e si dirigeva al tavolo della festeggiata. Santoro si allontanò senza riuscire a distogliere lo sguardo, incuriosito da ciò che sarebbe accaduto. Quando la bottiglia giunse alla festeggiata, la donna che l'aveva trasportato le parlò all'orecchio con la medesima discrezione con cui aveva sussurrato all'orecchio di Moncada. La ragazza quindi sollevò lo sguardo in direzione del tavolo da cui era stato spedito quel prestigioso regalo. In quel preciso istante il mittente si alzò, chiuse l'unico bottone della giacca, e si allontanò dalla sala.

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