Prologo

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«Tutti gli uomini detestano gli infelici; quanto, dunque, devo essere detestato io, il più infelice di tutti gli esseri viventi! Anche tu, mio creatore, detesti e disprezzi me, tua creatura, alla quale sei legato da un nodo che si può sciogliere solo con l'annientamento di uno dei due.
Vuoi uccidermi. Come puoi giocare così con la vita?»

Frankenstein - Mary Shelley




Una fredda notte di novembre Lux aveva smesso di avere gli incubi. I crepuscoli erano diventati vuoti, quasi bianchi. Non c'era più il buio nella sua testa, anche se fuori le ombre incupivano il mondo intero. La lugubre atmosfera sfiorava ogni angolo, ogni mente umana, tranne la sua. Tutti dormivano, nelle città calava il silenzio; leggeri sospiri in apnea, brutti ricordi che strisciavano in scatole craniche livide, serpenti di ossidiana e oro.

Non le era sfuggito quel dettaglio: i sogni correvano via. Anzi, no. Gli incubi scappavano, venivano cancellati come i file indesiderati di un computer con la memoria piena. Presi e trascinati nel cestino, dove vengono eliminati e non pesano più. Perdono ogni valore, ogni importanza.

Finché, dopo un paio di settimane – o forse mesi, Lux non sapeva da quanto fossero scomparsi –, decise di ribellarsi alla sua mente. Divenne un gioco contro se stessa, contro le memorie sepolte sotto strati di terra gelida e le lastre di vetro.

Era lì che la sua mente si bloccava.

Gli specchi. Centinaia, forse migliaia di specchi, tutti intorno a lei, uno dietro l'altro, circolari, soffocanti. Specchi che riflettevano qualcosa che Lux non poteva vedere, perché la strappavano via da lì.

Qualcosa la trascinava via.

Qualcuno.

Il divoratore di incubi.

Lui che arrancava fra universi lugubri e cupi in cerca della prossima vittima di cui nutrirsi, cibarsi, fino a consumarla fino all'osso, fino a privarla di ogni ombra. Strisciava in un mondo onirico e disilluso, lontano dalla realtà.

Rubava il marcio degli esseri umani, era il suo compito in un universo effimero. Non era reale, e non pensava lo sarebbe mai stato.

Sogni che crollano come pixel disfatti. Immagini amorfe e grottesche, sempiterni riflessi di inconscio e paure. Urla, dita che graffiano, silenzio. Specchi.

Troppi specchi.

Milioni, miliardi di lastre di vetro che riflettevano un corpo che Lux non poteva osservare.

Un intero e sconfinato universo tutto per lei. Tutto fatto di superfici che dipingevano immagini buie.

Lux non ne aveva paura – era diverso dalla vita reale.

Voleva guardarli. Era curiosa di scoprire che cosa celassero, era coraggiosa abbastanza da sapere che lì era tutta illusione e non poteva farle del male, non poteva portarle sfortuna. Però le veniva proibito. 

Lui era più veloce.

Lui che non era nient'altro che un'ombra scura. Una sagoma dalla forma quasi umana, ma senza tratti, senza consistenza. Senza occhi. Era solo una miscela di buio e oscurità, polvere di stelle, frammenti di astri che piangono, ossa. 

Lui si avvicinava e gli specchi smettevano di ruotare, di avvicinarsi, di far tremare il mondo onirico. Era calma piatta appena la raggiungeva, fermandosi a pochi passi da lei. 

Il divoratore di incubiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora