II - Imparare a vivere [I]

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Il mondo per me era un mistero da scoprire. Curiosità, bruciante volontà di impadronirmi delle leggi segrete della natura, e una felicità vicina all'estasi quando esse mi si svelavano: queste sono le prime sensazioni che riesco a ricordare.
Frankenstein - Mary Shelley




Il silenzio era diventato presto soffocante, così Lux aveva deciso che lei e Neil dovevano andare a fare una passeggiata. Avrebbe usato quell'occasione per mostrargli il mondo e per schiarirsi le idee.

Lo aveva lasciato in attesa in cucina. Abitava in un appartamento piccolo, al piano superiore vivevano i suoi genitori, che non volevano stare troppo lontani dalla loro unica figlia. Lux non aveva bisogno del loro aiuto economico, anche se si ostinavano a darle una mano in ogni modo possibile. 

Aveva pubblicato un libro dopo l'incidente. Prima di quel giorno, Lux era stata una ballerina. La danza classica era la passione che la spingeva ad andare avanti. Passione che si era spenta quando aveva perso la gamba. 

Avrebbe potuto imparare a ballare, la sua gamba seguiva i comandi inviati dalla sua testa, eseguiva ogni ordine, ma non era quello il problema. 

Non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio, non poteva considerare l'idea di indossare un body e vedere la sua gamba bionica riflessa negli specchi. Le sale di danza sono piene di enormi lastre che ricoprono le pareti. Non faceva più per lei, così aveva iniziato a scrivere. I pensieri erano grovigli sconclusionati di parole e ricordi stantii, ma trasportandoli su carta riusciva a trovarci un senso. 

Ci aveva lavorato per un anno intero, e alla fine era venuto fuori il suo malloppo di trecento pagine. Un'autobiografia piena di censure involontarie.

Lux aveva scritto di com'era vivere con quella gamba metallica. Aveva raccontato della fisioterapia, di come piano piano aveva imparato a camminare di nuovo, di come ciò aveva segnato la sua mente, ma non si era mai soffermata troppo a lungo sull'incidente. Non lo aveva nemmeno descritto, il libro iniziava dopo. Lux non voleva pensare a quel momento, quell'unico attimo che aveva cambiato tutto per sempre. Un soffio di brina irreversibile. 

Un incidente d'auto. 

Prima di uscire aveva bisogno di fare colazione. E riflettere.

Se avesse incontrato qualcuno che conosceva, come avrebbe giustificato la presenza di Neil? Chi era? Gli aveva dovuto trovare perfino un nome, non sapeva niente di lui. Non capiva quanto fosse effettivamente reale.

Aprì il frigo, recuperando una bottiglia di succo di frutta. Innanzitutto, aveva bisogni umani come bere, mangiare, dormire? Riempì due bicchieri di liquido arancione, li appoggiò sul tavolo e ne allungò uno nella sua direzione.

«Che cos'è?», chiese Neil.

Lux aveva sospirato. Doveva davvero spiegargli il funzionamento di ogni cosa nel mondo? Non sarebbe stato facile, e non sapeva neppure dove li avrebbe portati.

«Si chiama succo di frutta ed è buono, giuro, sa di frutta», lo spiegò come l'avrebbe fatto con un bambino. «Lo devi bere. Così», portò il suo bicchiere alle labbra, mandandone giù un sorso e riportandolo poi sul tavolo, osservando l'altro fare lo stesso.

Neil aveva fatto una smorfia, non sembrava piacergli. «Devo proprio?»

Lux rise, svuotò a metà il suo bicchiere e li abbandonò entrambi nel lavandino. «No, non devi proprio se non ti piace. Usciamo, ti faccio vedere il mondo.»

E il mondo era un posto strano. 

Neil aveva visto la realtà negli incubi degli esseri umani. Riusciva a comprenderli, capiva le loro emozioni – solo alcune, però. Quelle che aveva imparato a vedere. La paura soprattutto, e sembrava fiutarla, captarla, anche quando nessuno la dimostrava ed era più una sensazione attorcigliata nei cuori degli altri.

Neil, però, non conosceva molte cose dell'esistenza umana. Non aveva mai mangiato un gelato – fu quella la prima tappa della mattina. Un piccolo carretto pieno di coni colorati. Neil aveva scoperto il freddo e i sapori dolci, aveva scoperto che se non si affrettava a mangiarlo gli si scioglieva sulle dita e diventavano appiccicose. Lux pensava che "uno come lui" preferisse il cioccolato alla vaniglia, Neil aveva constatato che preferiva la vaniglia. 

Si guardava intorno con stupore e meraviglia, vedendo cose che aveva osservato solo negli incubi degli altri, distorti tuttavia dalla paura. Scosso da una tranquillità quasi insalubre, Neil sbatteva le palpebre, sentiva il calore del sole sulla pelle, gli dava fastidio quando i raggi luminosi raggiungevano i suoi occhi.

Lux aveva un ombrellino nero, decorato di pizzo e merletti, appoggiato sulla spalla. Non si esponeva alla luce, e gli aveva spiegato che non poteva, era così bianca proprio poiché troppo sensibile al sole. Indossava occhiali dalle lenti scure e quando li sollevava teneva lo sguardo abbassato, come se le facesse male. Lei aveva quelle strane ciglia bianche e lunghe, le labbra screpolate e rosse, unico colore su un volto pallido tanto da sembrare morto. Era diversa da lui, e Neil non capiva come e perché.

Lux camminava con passo lento, ma Neil non le dava fretta, si era abituato subito al suo ritmo – non ne aveva mai posseduto uno – e con calma aveva anche imparato a respirare, poi Lux gli aveva mostrato il lago. Anche se lei non lo guardava, lo evitava con gli occhi. Era una pozza d'acqua debole, quando Neil toccò quello specchio si sorprese nel vedere la lastra incresparsi sotto al suo tocco, e sentì freddo tanto da avere i brividi. Tutto era nuovo, tutto era incantevole e illusorio, e loro si crogiolavano in perdite di tempo e non pensavano al vero punto della situazione: perché Neil era precipitato nel mondo reale? Qual era il suo compito lì? Come lo avrebbero rispedito indietro?

Era una questione che richiedeva tempo, nessuno dei due sapeva quanto – Neil non sapeva nemmeno che esistessero gli orologi, che le vite umane fossero brevi e insignificanti. 

Le persone erano la cosa meno interessante. Erano tutti diversi, sì, ma vi aveva già avuto a che fare. Li percepiva come esseri deboli, pieni di paure e tremori, con le notti colme di incubi o insonnia.

Lux parlava poco e il silenzio era confortante, perché Neil era abituato a non parlare con nessuno, a non interagire; lui rubava soltanto gli incubi, un soffio ed era tutto finito. E adesso era uno di loro e non poteva crederci. Non conosceva i limiti del suo corpo, non conosceva niente. 

Però era tutto pieno di colori scintillanti, di sfumature e sensazioni anonime. Scoprì i suoni, gli odori, l'equilibrio. Scoprì che gli umani avevano cinque sensi, tutti diversi fra loro, tutti utili a qualcosa, e Lux gli dava delucidazioni e tentava di rendergli chiaro quell'enorme enigma.


Il divoratore di incubiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora