Tu non sei il tuo dolore

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Tre secondi.
Tre battiti del mio cuore.

Ogni giorno è segnato dalla presenza di piccoli rintocchi di un orologio, in cui le lancette non smettono mai di girare, incuranti di ciò che succede al mondo.
Cosa può importare ad un orologio dei sentimenti degli uomini, cui continua a segnare il tempo che essi passeranno su questa Terra? Il suo unico compito è quello di fare in modo che nessuno dimentichi quanto breve sia la vita, una semplice stella cadente che fa gioire un bambino piccolo, ma che è destinata a morire nell'oscurità, dopo aver attraversato un cielo d'ebano.
Molti si consolano dicendo che, in questo percorso in cui l'unica cosa certa è la morte, almeno le stelle cadenti potranno bearsi della compagnia delle altre, assaporare il gusto che proviene dalla comunità di una stessa condizione.
Eppure, non sempre è così, perché gli uomini non sono stati plasmati nella giustizia, nè nell'altruismo o nella volontà di comprendere, ma solo nell'egoismo, quella caratteristica che scorre nelle loro vene come un veleno, pronto a cancellare qualsiasi altra emozione o propensione.

Gli uomini sono naturalmente egoisti e nulla può cambiare questa verità.

Quindi, in fondo, non c'è nulla che può alleviare il percorso delle stelle cadenti, perché esse saranno sempre sole, immerse nell'infinito del cielo, senza una reale possibilità che qualcuno possa comprenderle.

Le stelle cadenti rimarranno sempre da sole, perché non è il numero che rappresenta il gruppo.

Soltanto se saranno abbandonate a loro stesse, le stelle potranno brillare, potranno schiarire quel cielo così scuro, prima di svanire per sempre là dove niente potrà spegnere la loro lucentezza.
La grande tragedia è proprio questa: solo nella morte, nelle tenebre più buie, riusciranno a risplendere con forza, perché a quel punto niente potrà più arginare la loro forza.
Da quel momento, il buio le renderà ancora più lucenti, perché libere dall'oppressione, libere dalla falsità.
°
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Il sole entra prepotentemente dalla finestra aperta, mentre una lieve brezza accarezza il mio viso.
È il 12 Settembre, sono solo le 7:00 del mattino, ma è ora di alzarsi dal letto, infilare le infradito e correre in bagno, prima che Lynn mi preceda.
Oggi è il mio primo giorno di scuola e non posso fare tardi, per cui non posso permettermi di fare il cavaliere, cedendo il bagno alla mia sorellastra. Come minimo, dovrei aspettare due ore, un'attesa troppo lunga da rispettare.
Certo, forse avrei potuto alzarmi prima, poiché sono sveglio già da un'ora o poco più, ma non desideravo rompere la magia, di cui i miei occhi si sono beati, osservando il sole che piano piano si alzava sulla linea dell'orizzonte, mentre i suoi raggi cominciavano a diffondere un tiepido calore.
Ho sempre amato la natura, per la sua forza incontenibile che sta al di sopra di qualsiasi altra, per la sua bellezza impareggiabile, in cui si nasconde il seme delle vita stessa, per i suoi colori sgargianti e i suoi suoni rassicuranti. Amo la natura e quel senso di pace che provo, quando i miei occhi si soffermano ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra, oppure anche quel senso di angoscia che mi attanaglia di fronte ad un temporale. Sono questi i momenti della giornata che preferisco, gli unici istanti di felicità della mia vita, perché quando sono da solo con i miei pensieri, perso in un turbine di emozioni senza tempo e senza spazio, ritrovo quella forza di cui ho bisogno per andare avanti, per continuare a camminare su questa strada scoscesa e ripida che è la vita.

Ma adesso non è il momento di fantasticare, per cui mi alzo velocemente e mi chiudo a chiave in bagno, in modo da non essere disturbato. Mentre mi spoglio del pigiama azzurro che indosso da quando ero solo un bambino, sento dei rumori provenire dal piano di sotto, dove sicuramente mio padre serà intento a prepararsi una tazza di caffè da bere in fretta, leggendo il giornale.
In effetti, da quando ho memoria, non credo di averlo mai visto rilassato a guardare la TV, ad esempio, oppure a sorseggiare un buon bicchiere di vino dopo cena.
È come se la sua vita fosse una continua sfida contro il tempo, come se essa fosse intrappolata in un vortice di attività, senza che vi sia la concreta possibilità di uscirne. In quest'uragano di impegni quotidiani, non sempre mio papà trova un posto per me.
Neanche durante il fine settimana o le varie vacanze disseminate qua e là durante l'anno.
Sono arrivato al punto da vedere più spesso la mia matrigna che lui stesso. So che può sembrare un nomignolo assai poco cortese, ma non sarei in grado di descriverla con una parola più adatta.
Lei e mio padre erano amici fin da piccoli, perché i loro genitori erano legati da un rapporto che durava da anni.
Hanno trascorso l'infanzia insieme, per poi perdersi nella turbolenta età dell'adolescenza. Eppure, il destino aveva scritto un finale insolito per loro due: dopo la morte di mia madre, avvenuta subito dopo la mia nascita, a causa di condizioni inspiegabili, mio padre, distrutto dal dolore, rincontrò per caso la sua vecchia compagna di giochi.
In seguito a quel ritrovamento, cominciarono a passare sempre più tempo insieme, soprattutto perchè lei, Adel, fu per mio padre la spalla su cui piangere, l'ancora di salvezza di cui aveva bisogno, addirittura un bersaglio per tutta quella rabbia che minacciava di sommergerlo.

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