La mia Parigi.

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Paris, la ville de l'amour.

Parigi era la città degli innamorati, degli scrittori, degli artisti, dei musicisti. Era per i semplici e curiosi. Era per chi aveva perso la sua anima e la voleva ritrovare. Era per chi di arte non capiva nulla e per chi di arte viveva. Era per i cinici e per gli euforici.
Parigi era per tutti e nessuno. Tanto e niente. Tutti la amavano, ma nessuno la capiva. Ma era elegante, di una bellezza innata, fuori dal normale. Ti attirava e ammaliava, per poi abbandonarti con un angoscia a comprimerti il petto. Ma era bella, di una bellezza innata.

E poi... c'era Jane Hofer.

A lei non piaceva Parigi e tantomeno la capiva. La trovava sopravvalutata, cupa e senza vita. Un po' come lei. Per non parlare dei francesi, lei non li sopportava, li riteneva troppo 'composti'. Avevano classe pure quando mandavano a fanculo le persone. Ma Jane Hofer non era così, lei aveva un tipo di classe diversa, non c'erano parole per descriverla bene, era un continuo mistero e quando credevi di averla capita... BOOM scoppiava la bomba e capivi che di Jane, tu, non avevi capito nulla.
Era una scrittrice, ebbene sì, una scrittrice fallimentare, ma quella era una futile informazione. Come si fosse ritrovata lei, un anima cupa e vuota, a scrivere, questo proprio nessuno lo sapeva. Forse, un modo per descriverla c'era: lei era il contrario di Parigi.
Eppure, si ritrovò su quel treno, pronta per quella fantomatica città.

«Siamo in arrivo a Parigi.» la voce meccanica, proveniente dall'altoparlante, comunicò ai passeggeri, di essere arrivati alla propria fermata.

Il treno era colmo di famiglie con i propri bambini e coppie perdutamente innamorate, che si scambiavano effusioni in pubblico.

E poi... lei, sola e infastidita per quella troppa vivacità.

Guardò un'ultima volta fuori dal finestrino e notando il treno rallentare e le immagini della stazione farsi più nitide, capì che fosse il momento di muoversi.
Si alzò da quel sedile, fin troppo scomodo a detta sua, e si dovette poi sollevare sulle punte dei piedi, per afferrare la sua valigia posta sopra il portabagagli.
Sbuffò un po' frustrata, quando dovette stendere di più le braccia e slanciarsi per afferrare la valigia, che a causa dell'altezza non ci riusciva. Ma nel fare ciò, un passeggero, che stava passando di lí in quel momento, andò ad urtare contro di lei, dandole una forte gomitata sulla schiena. Lo sconosciuto non si fermò nemmeno per scusarsi e continuò per la sua strada come se nulla fosse.

«Stupidi francesi.» borbottò tra sé, stringendo i denti tra essi.

Riuscì ad afferrare la valigia, giusto in tempo per sentire, di nuovo, la voce metallica che li avvertiva: «Siamo felici di avvisare, che i passeggeri diretti per Parigi, siano arrivati a destinazione.»

Con un po' di frustrazione addosso e spingendo i passeggeri con alcune gomitate, riuscì finalmente ad uscire da quel treno.

Impugnò la valigia con una mano e si diresse a passo spedito, fuori da quella stazione. Non degnò nessuno di uno sguardo, nemmeno quando casualmente dava una spallata, a chi camminava nella sua stessa direzione. Aveva il mento alto ed un espressione rigida e fin troppo composta sul viso.
Ma per carità, nulla a che fare con i francesi.

Sospirò, quando notò quanto fosse buio il cielo e quanto fosse collegato al suo umore, in quel momento.
Parigi era decisamente l'ultimo posto in cui sarebbe mai voluta andare, ma si sentì, in un certo senso, obbligata.

Una scrittrice Fallimentare incontra un ArtistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora