Guardai per l'ultima volta la mia mensola piena di premi vinti in questi anni grazie al mio impegno e, sicuramente, i soldi dei miei genitori che avevano dato un buon contributo; non lo negavo certo. Osservai il mio riflesso allo specchio e sorrisi: ero consapevole della mia estrema bellezza, tutto me lo facevano presente più volte al giorno, e io stesso mi consideravo un bel ragazzo, per andare a scuola oggi scelsi di indossare dei pantaloni stretti a vita alta bianchi, tenuti da una cintura di Gucci in pelle nera regalatami al compleanno dal mio migliore amico, e infine infilata nel sopra nominato capo, una maglia nera con lo scollo a V di Calvin Klein a maniche corte; il tutto coperto da un semplice bomberino nero abbastanza corto. Mi passai una mano tra i miei capelli tinti di argento e mi misi i miei occhiali da sole; uscii di casa con lo zaino in spalla e mi incamminai verso scuola con le cuffiette alle orecchie.
[...]
«Taehyung, devo parlarti.» dissi seriamente non degnando di uno sguardo il ragazzino col quale stava parlando; anzi alzai gli occhi al cielo al solo percepire di chi si trattasse. Mi allontanai col mio migliore amico sospirando portandomi due dita sul ponte del naso stringendolo, tornando a fissare il suo viso; «perché parli ancora con quel poppante, Taehyung ma hai idea di chi tu, noi, siamo?» gli dissi posandomi una mano sul fianco spostando il mio peso corporeo su una gamba sola, picchiettando il piede destro nervosamente al suolo, «Jeon? Davvero? Quel ragazzino viene da una scuola pubblica, Dio santo.» dissi con toni esasperato; ma Taehyung non fece in tempo a rispondere che la campanella richiamò la nostra attenzione, ricordandoci che era ora di entrare nelle nostre rispettive classi.«Min.» «Park.» il solito "saluto", se così vogliamo chiamarlo, tra me e il maggiore. Lui indossava un semplice jeans nero e una felpa del medesimo colore abbastanza larga; sbuffai una risata scuotendo la testa. «che c'è Park, rosichi ancora per ieri? La prossima volta ti faccio copiare se vuoi» disse sarcastico il mio compagno di banco. Serrai la mascella e mi costrinsi a non tirargli in piena faccia il diario che avevo appena tirato fuori dallo zaino; mi limitai a regalargli uno sguardo, un barlume di sorriso di sfida, inumidendomi le labbra: «no Min, mi fa sorridere il fatto che ti credi alla mia altezza, quando potresti essere il mio giardiniere, se fossi fortunato» dissi con tono di sfida serrando i pugni nervoso. Lui semplicemente sorrise, mormorando solo «ne riparleremo sul palco domani, per la sfida di matematica.»
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