Something unreal

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Prologo

"I feel it in my fingertips I feel it in my bones
The hair is standing on my skin I know that I am home
Pulling back the curtains And the truth shall be revealed
I'm praying for, I'm waiting for Something unreal.

Every bone I break If it's love or hate I wanna feel
(Something unreal) Every time I bruise If it's win or lose
I wanna feel (Something unreal)"

The Script



Chissà perché hanno tutti bisogno di sentire.

Le emozioni, i sentimenti, il brivido, l'adrenalina.

Chissà se hanno mai sentito abbastanza dolore da desiderare di essere annichiliti, finiti. Morti.
Un poeta inglese si sveglia una mattina e dice che è meglio aver amato e perso che non aver amato mai. E tutti gli credono. Fanculo Tennyson. Fanculo tutti i creduloni.

Se avessero perso veramente non si sentirebbero dei vincitori.

A questo pensava Harry, in macchina, mentre andava al supermercato.
A questo e all'imbecille schizofrenico davanti a lui che guidava come un settantenne con la cataratta, pur avendo il culo su un X5 BMW. Che cazzo ve le comprate a fare le macchine se poi non le sapete guidare pensò, mentre lo superava ignorando la linea continua tra le carreggiate.
Era rimasto nel Kent per l'autunno, stava ristrutturando la sua nuova casa a Londra e non voleva tornare a stare dai suoi genitori. Doveva dipingere e quale posto migliore di un cottage con vista sul mare, lontano dal rumore, dalla gente e dalle distrazioni della grande metropoli?

E il mare era sempre stato un ottimo suggeritore.
Doveva essere il blu. Quel blu instabile e irascibile.
Che però lo rendeva vulnerabile e vivo come mai.

Rimanere nel Kent quando tutti erano andati via era un'idea che ricalcava un sogno di bambino. Da piccolo subiva il tornare in città dopo le vacanze come una privazione, e lo sentiva come un lutto. A Londra gli mancava l'aria e viveva l'inverno come una punizione, cercando di trattenere il respiro finché non fosse tornata l'estate. Crescendo la situazione non era cambiata. Anzi. Le amicizie del Kent divennero più importanti e significative. E non solo.
Eppure la sua vita continuava a trascinarlo lontano.
Ma da quando era lì sentiva le presenze della sua infanzia e della sua adolescenza nell'insistenza delle foglie sul pavimento del patio, nell'odore di pioggia mischiato alla salsedine, nel rumore del mare che gli cullava il sonno prima di dormire e nel cielo bianco delle mattine d'autunno.

Nulla di tutto questo era un ricordo d'infanzia.
Ma l'immaginazione era stata la sua salvezza.

Aveva già posato tutto sul nastro della cassa quando si era ricordato della lampadina fulminata in bagno e insomma, non voleva sprecare l'immaginazione pisciando al buio.
Luce calda o fredda. Questo era il suo dilemma quando avvertì l'ombra o la presenza di qualcuno muoversi in modo sgraziato di fronte a lui, alla fine del suo corridoio.

Lo riconobbe subito.
Forse ancora prima di alzare lo sguardo su un rumore così goffo e inspiegabile.
Spalle strette e culo imperiale, serio e convinto sulle sue gambe da calciatore mentre assecondava la sua spudorata e inossidabile ottusità, cercando di prendere un pacco di cereali dallo scaffale più alto senza i giusti centimetri per arrivarci, colpa di uno spiccato talento nello sfidare le leggi della fisica. Non a caso era stato eroe del torneo di beach football della contea, per un goal su punizione da posizione impossibile, quei goal che per farli prima dei piedi serve l'immaginazione. Anche Louis Tomlinson aveva un certo talento per l'immaginazione.
Harry non lo vedeva da nove anni. Quasi. Otto anni. Dieci mesi. Dodici giorni.
E quel giorno, dopo un ragionevole momento di annichilimento, decise di parlargli.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 06, 2020 ⏰

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