CAPITOLO 4

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Ava


Fisso la foto incorniciata sulla lapide grigia e fredda. Il suo sorriso scalda il mio cuore mentre una leggera brezza mi scompiglia i capelli. Questa sera fa molto freddo, attorno a me le foglie svolazzano disordinate mentre quelle sugli alberi fischiano un suono lento e sommesso.

Ci vengo spesso, ma oggi ho con me una rosa rossa. Un fiore delicato, profumato, bellissimo, proprio come lo era lei.

Mentre fisso il pezzo di marmo che si erge davanti a me, con incise quelle parole e quelle date, un'altra parte di me si stacca.

Sono inginocchiata, è buio, è notte tarda, ormai il cimitero è vuoto. Sono venuta a quest'ora perchè non volevo ci fosse altra gente intorno a noi.

L'unica cosa che posso fare è venire qui, farle visita, parlarle, raccontarle le mie giornate, che non sono più le stesse.

Metto questa fragile rosa, nel piccolo vasetto, vuoto. I suoi genitori saranno di certo già venuti qui, però non portano più i fiori. All'inizio lo facevano, ma con il tempo, vedendo come ogni fiore appassiva e moriva lentamente, hanno smesso. E' un po' come se avessero mollato, come se non ne valesse più la pena, degli stupidi fiori non riporteranno indietro Abigail.

Del resto nemmeno io li porto, ma oggi non potevo non farlo.

Mentre sto qui, da sola, con il rumore del silenzio, i miei occhi diventano lucidi. Ma non piangerò, non quando tutto questo è successo anche a causa mia.

Mi siedo lentamente sul marmo freddo sorridendo stancamente al volto sereno nello scatto che i suoi genitori hanno deciso di inserire in quella piccola cornice, immaginandola ridere ancora mentre siamo stese sul mio letto a spettegolare.

"Spero che un giorno tu mi possa perdonare Abby. Mi manchi" sussurro con voce triste accarezzandola dolcemente. Mi fanno male le corde vocali, è come se raschiassero e sanguinassero dentro di me, impedendomi di parlare. Ma il dolore che sento nel petto quando si stringe e mi soffoca impedendomi di respirare non potrà mai essere alleviato da nessun'altra sofferenza fisica.

Sono passati due anni. Tirare avanti dopo l'accaduto sembrava impossibile, avevo smesso di vivere anche io. Le giornate sembravano non avere fine, restavo seduta sul letto a vedere il sole alzarsi in cielo e la luna prendere il suo posto di sera. Il sonno mancava, ogni volta che ci provavo il mio cuore sembrava fermarsi trascinandomi in un vortice di ansia e agitazione. Ho convissuto con attacchi di panico e incubi per oltre un anno prima di decidermi a prendere in mano la situazione. Mi sono sentita egoista, meritavo tutto quello che stavo passando, ma non potevo andare avanti oltre.

D'un tratto la pace che mi avvolge viene interrotta dal suono delle foglie secche calpestate.

Forse è così che mi sento.

Mi giro con calma nella direzione da cui provengono. Dylan.

Senza dire una sola parola, nonostante mi abbia notata, si siede accanto a me.

Restiamo entrambi zitti, sappiamo entrambi che ormai non c'è più niente da dire.

Dentro di me sapevo che sarebbe venuto, Abigail era importante per tutti e due e non avrebbe mai potuto lasciar passare in secondo piano la situazione.

Non mi ero accorta che avesse qualcosa in mano, ma quando lo osservo mentre allunga il braccio verso il vasetto, la vedo. Una rosa. Una rosa rossa, come la mia. La preferita di Abby.

Da quando siamo qui, per la prima volta ci guardiamo negli occhi. I suoi sono neri e profondi, come un immenso buco nero, mi imprigionano nella sua gabbia piena di sofferenze. Vorrei potergli urlare il mio disprezzo per lui mentre leggo, in quelle iridi cupe, quello che lui prova per me.

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