CAPITOLO 2

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Ava

Tra tutto quello che poteva capitare stasera, non avrei mai pensato di incontrare Dylan.

La rabbia che gli ho letto negli occhi neri era destabilizzante. Non me lo aspettavo e ancora meno mi sarei aspettata che spaccasse lo specchio del bagno.

Ammetto di essere stata una bastarda, sapevo dove colpirlo.

Ormai per entrambi quell'argomento era una spina nel fianco, un macigno sul petto. Non volevo rivederlo, lo odio.

Le parole che uscivano dalla sua bocca erano biasimo puro. Probabilmente anche lui mi odia. A me sta bene così.

Se pensa che io non mi senta uno schifo per ciò che è successo quella sera, si sbaglia di grosso.

Non c'è stata una sola notte in cui sia riuscita a non avere gli incubi.

La cosa è iniziata a diventare insostenibile quando, ancora a casa dei miei, mi svegliai nel cuore della notte urlando come una pazza, sudata, lo ricordo bene. Mi mancava il respiro, come se qualcuno mi stesse strozzando con tutte le sue forze, non volendo che neanche un filo d'aria arrivasse ai miei polmoni. Ero come in uno stato di trance, non sentivo più le voci di nessuno, le urla di mia madre, mio padre che mi chiamava a gran voce, per farmi rinsavire. Ero bloccata. Mia madre era terrorizzata, stava per chiamare l'ambulanza, ma dopo un po' mi ripresi. L'accaduto è rimasto impresso nella mia mente. Abbiamo così deciso che era ora di consultare un medico. Per questo adesso ogni sera prendo qualche pastiglia, sonniferi per l'esattezza. Non mi sveglio più di soprassalto come prima, ma gli incubi li faccio, li faccio eccome.

Mi alzo lentamente, mi gira un po' la testa ma non mi importa. Se prima stavo per scopare con quel coglione, ora come ora, vorrei solo andarmene. Esco dal bagno e un'ondata di musica, puzza di sudore e alcol, mi travolge.

"Ehi eccoti bella" il tipo di prima. Non ho nessuna voglia di continuare ciò che stavamo facendo.

"Non ora, Fred" rispondo fredda.

Lui mi si avvicina, puzza di alcol ed erba. Rivoltante.

"Dai so che hai voglia di divertirti questa sera", inizia a toccarmi, mette le sue luride mani sui miei fianchi. Gli afferro subito i polsi, lo guardo dritto negli occhi.

"Ho detto che ora non ho più voglia, levati dai coglioni e lasciami in pace" scandisco bene ogni parola. Voglio che recepisca il messaggio.

Lui sembra capire o forse è troppo fatto per replicare. Mi lascia andare.

Finalmente posso avviarmi all'uscita di questo posto di merda.

2 mesi dopo...

"Salve, posso aiutarla?" sorrido alla cliente che è appena entrata e che sta osservando i dolci esposti della pasticceria in cui lavoro.

"Oh si grazie, prenderei due bignè al cioccolato e un caffè"

"Certo, intanto vada pure ad accomodarsi ad un tavolino" annuisce e se ne va.

Lavoro qui ormai da sei mesi, non è male e in ogni caso dovevo farmi andare bene qualunque posto per potermi pagare la retta universitaria.

"Ecco a lei". Porgo l'ordinazione alla signora che mi ringrazia e inizia a gustarsi il dolce.

Sono sempre voluta essere abbastanza indipendente nei confronti dei miei genitori, non ho mai voluto essere un peso per nessuno e infatti sono riuscita anche a prendere in affitto un piccolo appartamento non molto lontano dal centro di Detroit.

Il mio turno è quasi giunto al termine, quindi vado a cambiarmi.

Saluto i miei colleghi ed esco.

E' dicembre, il freddo avvolge ogni cosa, facendo tremare le persone che mi passano davanti indifferenti. Mentre cammino per tornare a casa inevitabilmente inizio a pensare.

"Non costringermi a ricordarti come sono andate le cose Ava, non ti conviene. L' unica persona che dovrebbe farsi schifo sei tu, hai rovinato la mia vita"

Da quell'incontro mi sono ritrovata spesso a pensare alle sue parole.

Ciò che è successo quella notte ovviamente ha sempre avuto il primo posto nella mia testa, ho cercato spesso di evitare di far riaffiorare i dettagli perchè non mi fa bene, sebbene ci siano state delle volte in cui i ricordi hanno preso il sopravvento ed io non sapevo come uscirne.
La soluzione la trovavo nel prendere qualche pastiglia di troppo. So che non avrei dovuto farlo, ma almeno sarei riuscita a staccare per un po' dallo schifo che mi circondava.

Come erano andate le cose lo ricordo benissimo, ogni immagine, ogni frammento è impresso perfettamente nella mia memoria. Non c'è un singolo giorno in cui io non mi penta delle mie azioni. Sono stata un' irresponsabile, non sarebbero dovute andare così le cose. Ero solo una stupida ragazzina.

Una folata di vento mi raggela fin dentro le ossa, la sciarpa che ho attorno al collo sembra voglia stringere sempre di più. E' quasi buio, io guardo ciò che mi passa davanti, ma non sto realmente vedendo nulla.

Mi sento vuota, esanime, abbandonata da qualsiasi emozione che si possa provare. Ogni sorriso, ogni gesto, ogni atteggiamento è avvolto da un velo di angoscia, sconforto, delusione. Sì, perchè oltre tutto io sono profondamente delusa da me stessa.

Oggi non è un giorno qualunque, è quel giorno, semplicemente due anni dopo.

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