chiamami senza nome

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lui un nome non ce l'aveva.
come non aveva un sesso, una religione e come non aveva pregiudizi.

era una di quelle persone 'libere' in tutti i sensi: girovagando in bicicletta apprezzava la bellezza della natura e altrettanto lo faceva con la maestosità della tecnologia in preda alla continua corsa verso qualcosa di migliore.

nonostante questo, lui però un auto non ce l'aveva, nè un computer, nè un cellulare di ultimo modello.
amava il vento sulla pelle, il profumo dei dolci appena sfornati che fuoriusciva dalle casette a piano terra del suo amato quartiere, il suono melodioso delle risate delle bambine che giocavano con la corda sul prato ma che sfortunatamente diminuivano ogni giorno sempre di più.

il mondo stava cambiando e insieme ad esso, anche le persone che ci vivevano.
i bambini non giocavano più insieme, molto spesso la puzza di gas sostituiva quella dei buon dolci delle amate signore di quartiere e lui... lui era disperato.

era disperato perchè tutto stava cadendo a pezzi e l'unico modo per non cadere a pezzi insieme al mondo era quello di scappare lontano.
scappare per un po', forse un paio d'ore o qualche giorno.

lo incontrai per la prima volta fuori ad una rosticceria.
io ero lì che aspettavo il mio turno tra la fila, lui invece era in disparte, gli occhi chiusi e i capelli bruni al vento.

era lì per rifuguarsi nel buon odore della vita chè il cibo sapeva certamente curare il suo animo, almeno per un po'.

indossava un completo estivo verde fluorescente; ancora oggi penso che quel colore fosse uno di quelli che stavano a pennello con la sua pelle scura come la mia.

eravamo così simili ma così maledettamente diversi; il suo ciuffo bruno era la casa accogliente per le mie mani che desideravano solo sprofondare nella sua morbidezza, quella che il suo cuore mi donava ogni minuto ma quello che io non avrei voluto succedesse, o che il mondo non avrebbe voluto che succedesse.

mi donava tutto se stesso e forse proprio questo è sfuggito dalle nostre mani.

io mi facevo accarezzare dalle sue attenzioni tralasciando i milioni di pensieri che invadevano la mia mente e lui, senza esitazione, mi donava sempre e sempre e sempre più pezzi di sè.

fuori dalla rosticceria, lo vedevo sorridente, uno sguardo da amabile fratello maggiore donato solo ad un bambino piccolo e all'apparenza davvero dolce.
io per poco non persi il turno per quanto i miei occhi si incatenavano alla sua persona, non riuscivo a staccare gli occhi da lui ma per forza maggiore dovetti farlo e lasciare quel posto a malincuore.

mi sono innamorato di te per la prima e ultima volta.

è stato questo, quello che gli ho scritto
sullo scontrino della rosticceria appena ricevuto, glielo lanciai dalla portiera della mia auto e poi sfrecciai più veloce del destino.

conoscevo bene gli attimi dei giorni ma quello fu uno di quegli attimi infiniti.
quello che non avrei dimenticato, ma che anzi, avrei ricordato più che volentieri e anche senza volerlo.

l'ultima volta che l'ho rivisto mi ha lasciato uno scontrino sotto la scarpa prima di camminare via, lontano e ancora lontano da me.

ti amo e non l'ho mai detto a nessuno.

adesso conservo i nostri scontrini sotto una mia maglia verde fluorescente, mia moglie ormai non chiede più nulla a riguardo e mia figlia dice che vorrebbe un amore come questo.

io però non so neanche se definirlo realmente così.
continuo a chiamarlo senza nome ed è un pezzo che mi manca, ma alla fine mi completo rifugiandomi nel suo ricordo.

e forse mi va bene così.
o forse va bene così al mondo.
ma cosa e a chi va o no bene, non importa; perchè mentre io sono qui a vivere una vita che il mondo mi ha imposto, lui è in giro.

in giro scappando e scappando ancora più velocemente e disperatamente.

ma almeno lui un rifugio lo trova in un tramonto libero, io sono qui intrappolato pieno di ricordi in un posto che non sento mio.

e forse mi va bene così.

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