1. qualcosa

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play \ parks squares alley, we're not just friends

Sono pochi i ricordi vividi che conservo nella mia mente offuscata. Come sono pochi i volti che riconoscerei dopo tutto il tempo che è passato. Eppure nonostante tutta la forza che metto per dimenticare, ecco che nella mia mente riaffiora un'immagine vivida come uno di quei dipinti bellissimi che sono difficili da dimenticare nonostante il tempo che passa.

E io sono certa che mi è impossibile scordare quel viso che tante volte mi aveva confortata, come mi sarà difficile fra venti o trent'anni.

Al ragazzo che mi salvò...è a te che devo tutte le mie parole.

Era autunno. La brezza leggera mi solleticava il collo scoperto a causa dei capelli che svolazzavano al vento, i miei sensi erano attutiti dall'euforia del momento e riuscivo solo a captare il leggero vociare della gente in lontananza. Era mattina presto, il sole stava quasi per sorgere e i miei occhi stavano aspettando che il cielo si colorasse di quei colori pastello che l'alba porta solitamente con sé. Le mie orecchie erano impastate dallo scroscio dell'acqua che si muoveva irrequieta, quasi ad avvertirmi di fare attenzione. Volevo rispondere che i miei piedi erano ben saldi alla ringhiera, che non era certa la prima volta che il mio corpo si tendeva al cielo cercando di spiccare il volo.

 "È sopra la ringhiera. Cosa sta facendo?". Sentivo le prime voci che si accavallavano al suono del vento, dell'acqua, del mio battito cardiaco... Ma non badavo a loro, non l'avevo mai fatto. I miei occhi, la mia essenza era tutta concentrata verso un solo punto: l'orizzonte. Ero in attesa, ma di cosa? Che il sole sorgesse? No, di qualcos'altro che non ero ancora riuscita a identificare. Qualcosa di cui ero da tempo alla ricerca. Era...

«Salterai?» è il suono di questa voce a farmi aprire gli occhi. Mi voltai verso il basso ed ecco che vidi da vicino, per la prima volta, quel viso.

Lo teneva rivolto verso l'orizzonte, come se anch'egli fosse in attesa di qualcosa. "Di cosa?" gli avrei voluto chiedere.

Con le mani in tasca e l'espressione serena non sembrò allarmarsi di fronte al mio corpo sospeso per aria. Rivolse gli occhi verso di me inclinando il volto leggermente verso l'alto e incurvando le labbra.

Fu probabilmente in quel momento che mi innamorai di Noah Mick Cavendish, dei suoi capelli chiari scompigliati dal vento e della sua espressione che non mi fece pentire di essere salita su quella ringhiera. Fu in quel momento che sentii chiaramente la sua voce — una goccia limpida che cade in un torbido lago.

«Cosa stai cercando?».

E io per la prima volta

spiccai il volo.

                                                                                       ~•~

Mi piacevano le parole. Mi piaceva il suono che ognuna di esse emetteva e il modo in cui le persone modellavano la bocca per adattarsi ad esso. Mi piacevano le loro incurvature, le note a piè di pagina, i ghirigori sparsi ai margini della pagina; il profumo dei libri, la risonanza del mio battito al solo tocco di quelle candide pagine color avorio e la sbavatura d'inchiostro che la stampa lasciava talvolta. Mi piacevano le virgole, la forma delle virgolette a inizio discorso, la scrittura a mano, e mi dilettavo nell'ascoltare il suono della macchina da scrivere e dei suoi tasti che battevano a ritmo sincronicamente.

Le parole avevano sempre avuto un forte impatto su di me, sia in positivo che in negativo, e talvolta, di notte, mi capitava di percepire il mio indice percorrere le curve rettilinee del mio palmo come se stesse scrivendo chissà quale poesia della stessa consistenza di cui erano fatti i miei sogni.

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