Sono le otto di mattina e dalla porta di camera mia sento già i miei genitori litigare e lamentarsi per qualcosa, ma non mi sorprendo.
Sinceramente non ho voglia di alzarmi ma sono più che sicura che avranno organizzato qualcosa per il mio compleanno, anche se ancora non riesco a capire cosa ci sia di tanto bello a festeggiare la nascita di una persona così.
«Diciassette anni, wow Heather. Complimenti!» dico tra me e me in modo sarcastico.
Decido comunque di alzarmi e andare al piano di sotto. Mentre percorro la moquette grigiastra del corridoio e mi avvicino sempre di più alle scale sento mia madre sussurrare a mio padre e a qualcun altro.
«Devo solo far finta di non sospettare nulla.» dico nella mia testa.
Faccio un sospiro e inizio a scendere le scale. Mi fanno la stessa festa a sorpresa da quando ho dieci anni, probabilmente per non rendere ancora più triste il mio compleanno. Ma non sanno che dai dodici anni in su questa cosa ha iniziato ad annoiarmi.
Arrivo alla fine delle scale e non vedo nessuno in salotto, tanto meno in cucina.
«Mamma?» dico a bassa voce.
Dopo aver parlato vedo uscire dalla porta di fronte a me del salotto mia madre con una torta al cioccolato tra le mani accompagnata da mio padre e mio fratello subito dietro di lei. Odio la canzoncina degli auguri, ma continuano a cantarla sempre.
«Tanti auguri tesoro.» disse mia madre avvicinandosi sempre di più
Ha un sorriso stampato sul volto che fa fuoriuscire le due fossette laterali sulle guance, i suoi occhi azzurri pieni di gioia e i capelli biondi letteralmente perfetti. Lei è perfetta.
Avvicina a me la torta stendendo le braccia e noto la scritta "Tanti Auguri Heather" con esattamente diciassette candeline attorno.
«L'ho fatta io.» mi dice mentre fa l'occhiolino e io rispondo facendo un sorriso.
«Cosa aspetti? soffia!» esclama mio fratello.
«Prima esprimi un desiderio.» corregge mio padre avvicinandosi e mettendo il braccio attorno alle spalle di mia madre.
Annuisco con un sorriso e chiudendo gli occhi mi avvicino alla torta. E proprio in quel momento, mentre il mio fiato si avvicina al fuoco per spegnere le candeline questo si sposta e inizia a percorrere la manica della maglietta di mia madre. La torta cadde a terra e tutti iniziarono ad agitarsi. Io non riuscivo a muovermi, ero bloccata lì a guardare la scena ed un estremo senso di colpa iniziò a salirmi in tutto il corpo.
Mentre mio fratello corre in cucina dalla mamma, mio padre si avvicina a me.
«Non è colpa tua tesoro.» mi poggia la mano sulla spalla, ma la scaccia via subito e il senso di colpa torna a farsi vivo. «Vai a scuola o farai tardi.» continuò con un leggero sorriso per far andare via l'imbarazzo.
Mentre attraversavo la porta il mio viso era già rigato di lacrime, misi le cuffiette e iniziai a camminare per andare verso la scuola.
So che non lo ha fatto per ferirmi, e so anche che ha detto che non è colpa mia solo per non farmi sentire solo di più in colpa. Ma sappiamo benissimo che è colpa mia.
La gente continua a chiedersi il perchè io sia fatta così e si aspettano non so quali risposte dato che... non lo so neanche io. L'unica cosa che so è che posso far male, tanto male. All'età di nove anni mi feci un'amica. Si chiamava Nicole, non le avevo mai detto del mio problema e il tutto migliorava le cose. Diventammo migliori amiche, fino a quando un giorno mentre giocavamo nel parco lei cadde da un gradino. Potete benissimo immaginare come finì. I miei genitori continuarono a ripetermi che non fu colpa mia ma non gli ho mai creduto. Da quel giorno non mi fecero più avvicinare a nessuna persona, tanto meno i bambini.
Al tempo dei miei dieci anni nacque Noah, mio fratello. Un dolce e insopportabile bambino dagli occhi verdi e i folti capelli castani. Qualsiasi scusa andava bene per farmi stare lontana da lui, almeno per i primi tempi. Ma non ho mai dato ai miei genitori una colpa per questo, dato che non ne hanno.
Non ho mai avuto amici, tanto meno a scuola, dato che vengo etichettata come "pericolosa" e in oltre, come dargli torto. Cinque anni fa, nella casa accanto alla mia si trasferì la famiglia Smith. E proprio nella stanza della finestra di fronte a quella di camera mia ci si mise un ragazzo della mia età, Clay. Mia madre divenne subito amica di sua madre, Eveline, che a quel tempo era depressa a causa del tradimento di suo marito.
Mia madre voleva farmi conoscere Clay a tutti i costi, continuando a dire a mio padre che conoscere qualcuno della mia età mi avrebbe aiutata. Lui fu contrario fin da subito, ma sia Eveline che mia madre riuscirono a convincerlo. Gli Smith furono i primi a non scappare dopo aver saputo del mio problema, da quel tempo io e quel ragazzo alto dagli occhi e capelli scuri diventammo migliori amici, parlando ogni giorno dalla finestra o a distanza di un bel po' di metri.
La scuola è veramente un inferno, gente che scappa appena mi vede, gente che pensa che io abbia un demone nel corpo e storie così. Certe volte vorrei che Clay stesse nella mia stessa scuola, vorrei poterlo toccare ed abbracciarlo ma non posso farlo.
Appena arrivata nel cortile si crea subito lo spazio tra la gente per farmi passare, occhiatacce, insulti, di tutto e di più. Non ci faccio caso e continuo ad andare avanti fino ad entrare nell'edificio per cercare la nuova aula di quest'anno. E' in fondo al corridoio di destra. Entro e noto il banco più lontano di tutti.
«Chissà di chi è» dico nella mia testa e subito dopo vado a sedermi.
La situazione in classe procede abbastanza bene, ma non riesco a smettere di pensare all'accaduto di questa mattina.
«Heather!» la voce stridula della professoressa di Italiano scaccia dalla testa i miei pensieri «Ho saputo che oggi è il tuo compleanno.» continua guardandomi con un sorriso forzato ed io rispondo con un sorriso.
Non mi sopporta, lo so. Lo sappiamo tutti. Non nego che non la sopporti neanche io. Odio quei suoi capelli rossi che tiene sempre legati, se li sciogliesse starebbe decisamente meglio. In più dovrebbe cambiare montatura di occhiali, ha dei begli occhi, gli occhiali rotondi non le donano.
Il ritorno a casa è sempre meglio dell'andata. C'è molta meno gente per strada ed è tutto più tranquillo. Tutti prendono l'autobus, vorrei tanto prenderlo anch'io piuttosto che fare sempre questa strada a piedi.
Arrivata a casa salgo subito le scale ed entro i camera mia. Mi siedo nella sedia davanti la finestra e guardando l'orologio aspetto che arrivino le 15:36, sono le 15:35.
Esattamente quando la lancetta si sposta vedo arrivare Clay davanti la sua finestra.
«Ehilà, com'è andata oggi?.» chiede alzando la finestra.
«Come sempre.» rispondo facendo un sospiro.
Ha i capelli spettinati e gli occhiali, non mette mai gli occhiali, se non a casa. Solo ora noto che ha il pigiama addosso, probabilmente si sarà appena svegliato.
«Non sei andato a scuola?.» indico la sua maglietta.
«No, non avevo studiato nulla.» dice passandosi una mano tra i capelli «Ho sentito che domani arriverà un nuovo ragazzo nella tua scuola.» continua. davvero?.
«Non ne sapevo nulla. In ogni caso cosa importa? non potrò parlarci.» rispondo.
«Magari è la tua anima gemella.» dice facendo un sorriso stupido accompagnato da una risata.
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polaroid
RomanceEsattamente 17 anni fa a Bristol, in Inghilterra nacque Heather. Non era una bambina qualunque, difatti dove c'era lei sicuramente succedeva qualcosa di molto pericoloso. Tutti, e soprattutto i genitori, furono ignari del perchè di ciò fino al compi...