Capitolo 1

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Harry’s pov

Allacciai l’ultimo bottone della mia camicia, colorata di un verde ripugnante e mi diedi un’occhiata allo specchio. Bella presenza, insomma, ma ciò che avrei dovuto fare quella sera non era altrettanto lodevole. Diciamo che distruggere famiglie non era ancora diventato il mio passatempo preferito, e dubitavo che un giorno lo sarebbe stato. In fin dei conti, a chi potrebbe piacere essere la causa della tristezza di una o più persone? Bhe’, la risposta non è certa, ma, di sicuro, non a me.

Scesi le scale fino al salotto, dove Marianne mi aspettava con un sorriso stampato in volto. Non capivo cosa trovasse di divertente in quella situazione. Forse l’unico a pensarla in modo diverso dal loro ero io. Forse ero pazzo, ma l’unica cosa che mi importava era che avevo ragione e, molto probabilmente, i pazzi erano loro.

Infilai il mio cappotto grigio ed uscii da quella sporca casa senza nemmeno degnare Marianne di uno sguardo. C’era qualcosa di al quanto spaventoso in quella donna. Solitamente erano loro a cercare di soffocare ogni tipo di rivolta, ma le tedesche erano diverse, quasi cattive. Mi spaventavano tutte… tutte, eccetto mia madre.

Lei, al contrario di mio padre, era dolce e gentile. Anche lei era per la guerra, ma aveva qualcosa di diverso da tutte le altre. In ogni suo sguardo era nascosta una miniera di zucchero ed ogni sua parola racchiudeva tenerezza. Fatta eccezione per quando mi sgridava, da bambino. In quelle  rare occasioni diventava una belva e a quel punto sì, mi faceva davvero paura. I suoi corti capelli cotonati color rame, ricordavano una fantomatica Mary Poppins dell’alta società, e quell’immagine le si addiceva alla perfezione.

Tutta la sua dolcezza, però, non doveva far credere che lei fosse stata presente nella mia infanzia. Ricordo che quando mi sbucciavo un ginocchio, giocando in cortile, non era lei a medicarmelo, ma una delle nostre numerose cameriere. Non era quasi mai presente alle mie recite scolastiche, non mi aveva mai insegnato a fare il nodo alla cravatta e tante altre piccole cose. L’unica cosa positiva che ricordo riguardo mia madre era che, ogni notte, dopo una sua lunga giornata di lavoro, veniva nella mia cameretta ed era capace di restarci finché non mi fossi addormentato, cantandomi canzoni della buonanotte e accarezzandomi le guance. Era il momento che preferivo di ogni singolo giorno.

I pensieri su mia madre mi tennero la mente occupata, durante il lungo tragitto dalla mia grande casa in affitto di periferia, fino al pieno centro di Parigi. Tutto era praticamente distrutto, a partire dalle case e dall’ex-luminosa tour Eiffel che, anche essendo giorno, sembrava incupirsi pian piano ad ogni persona che veniva sottratta a quella splendida città.

Guardandomi intorno, riuscii a notare una casa con le finestre completamente sbarrate da assi di legno. Sembrava che, chiunque ci abitasse, volesse nascondersi e fu proprio questo particolare a far crescere in me il sospetto. Innocenza, sentivo odore di innocenza e, molto probabilmente, quella caratteristica apparteneva proprio a chi, da qualche anno, ero obbligato a dare la caccia.

Mi avvicinai velocemente alla casa ad ampi passi e, con decisione, battei qualche colpo alla porta in legno, invecchiato dal tempo.

Louis’ pov.

Entrai in cucina con passo lento e trascinato, fermandomi successivamente sulla soglia della porta, assottigliando leggermente gli occhi per riuscre a mettere a fuoco la stanza, accorgendomi di essere ancora leggermente spaesato dalla lunga dormita. Era il primo pomeriggio dopo tanto tempo in cui riuscivo ad addormentarmi grazie alla mancanza di bombardamenti. Era anche la prima volta, dopo tanto tempo, in cui mi addormentavo senza la paura di poter essere svegliato dalla polizia.

Avanzai lentamente nella cucina, scompigliando i capelli di Daisy mentre camminavo verso il frigo. Arricciai leggermente il naso nel ricordarmi che era l’ora di cena, se così si poteva chiamare, insomma. Ciò che rimaneva nel frigo era veramente poco e niente.

A volte mi ritrovavo a pensare che, se ci avessero deportati, avremmo ricevuto più cibo in uno di quei campi, che qui. Allungai un braccio e afferai quattro pesche, girandomi quindi verso le mie sorelle, lanciando una pesca a Daisy, una a Phoebe, una a Lottie e una a Fizzie dato che io potevo stare un altro giorno senza cibo, infondo l’importante erano loro. Alzai poi lo sguardo su mia mamma; si trovava nella stessa posizione degli altri giorni: il viso appoggiato contro il legno consumato della parete, vicino alla finestra; una mano appoggiata sulle tendine e lo sguardo assente. Mentre le mie sorelline addentavano le loro pesche io mi avvicinai lentamente a mia mamma, posandole successivamente una mano su un braccio e accarezzandolo lentamente dissi: "Vuoi qualcosa da mangiare?" mormorai piano per non rompere del tutto il silenzio che si era creato nella stanza, sospirando in modo quasi impercettibile quando scosse la testa. Mi sporsi verso di lei e le diedi un leggero bacio sulla guancia prima di metterle una mano intorno alle spalle, facendola quindi staccare dal muro e iniziando a camminare lentamente, con lei, verso la sua camera da letto.

Mi era sempre stato detto che un giorno mi sarei dovuto occupare io di mia mamma e delle mie sorelle, ma non pensavo che quel giorno sarebbe arrivato così presto, ma soprattutto non mi aspettavo che sarebbe capitato in queste circostanze così difficili. Dovrebbe essere mia mamma a preoccuparsi di me e delle bambine, di nutrirle, di assicurarsi che stiano bene. Invece se ne stava tutto il giorno ferma davanti alla finestra aspettando che venissero a prenderci.

La feci stendere nel suo letto, coprendola con il leggero lenzuolo, le scostai i capelli dalla fronte e le diedi un leggero bacio su quest’ultima, sussurrandole di non preoccuparsi per le bambine perché me ne sarei occupato io.

Tornai in cucina e accennai un lieve sorriso nel notare che avevano finito le loro pesche, appoggiandomi con la spalla allo stipite della porta, schiarendomi leggermente la voce.

" E’ ora di andare a letto." osservai attentamente le loro espressioni, prendendomi il labbro inferiore tra i denti quando Phoebe scese dalla sedia con un salto, facendo un forte rumore. Intimai loro di far silenzio, dicendo che la mamma stava già dormendo.

Entrai nella mia camera poco dopo, facendo un leggero sospiro di sollievo nel sapere che dormivano tutti. Mi tolsi la maglietta e la buttai a terra, stendendomi successivamente sul letto, sopra alle lenzuola. Posai una mano sul mio petto e una sul mio ventre, chiusi gli occhi e iniziai a canticchiare una leggera melodia con l’intento di dormire, dopotutto era meglio dormire che fare altro, almeno le ore, i giorni e chi lo sa, i mesi, sarebbero passati più velocemente.

Dovevo essermi addormentato, perché mi svegliai con Lottie che mi scuoteva. Aprii lentamente gli occhi, assonnato; mi passai le mani chiuse a pugno sugli occhi e poi puntai il mio sguardo nel suo. Stavo per chiedere spiegazioni per quel risveglio brusco e improvviso, ma chiusi immediatamente la bocca quando sentii bussare alla porta.

In quel momento provavo una sola sensazione: terrore.

-Spazio autore-

Ringrazio una mia amica che mi ha "regalato" questa copertina che è  davvero bella. In ogni caso, questo è  il primo capitolo della storia (ma dai) i lettori sono già 125 e boh, grazie mille:) Se la storia vi piace votatela è lasciate un commentino. Detto questo ci rivediamo tra qualche giorno con il secondo capitolo:)

Gio

Forbidden Love /Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora