Autunno 2016
Il rumore dei treni che dalla stazione partivano verso mete di cui solo alcuni conoscevano l'identità e di quelli che invece arrivavano o sostavano, era ormai insidiato nel suo udito da diverso tempo. Il rumore delle voci, dei biglietti che venivano timbrati, dell'altoparlante che dava indicazioni, dei passi svelti di persone in ritardo... Tutto già sentito.
A lui piaceva osservare, provare a capire i vissuti delle persone che intravedeva o che gli si fermavano davanti. Passava minuti interi in attesa del suo treno a fantasticare su di loro, non avendo nella sua vita nessuna persona concreta da poter conoscere davvero. O per lo meno non nel modo in cui avrebbe voluto.
Avrebbe voluto non essere stato condizionato da un passato che ancora nel presente gli faceva avere ripercussioni sulle sue relazioni; avrebbe voluto non aver paura, forse. Sicuramente, avrebbe voluto non sentirsi una nullità e così vuoto da poter essere sostituibile e usato in maniera spudorata. Forse, malgrado il continuo timore, aveva comunque la volontà di un qualcosa.
Erano anni che si sentiva nella costante colpa di sé stesso; che aveva la convinzione di poter deludere o non essere abbastanza per qualunque persona con la quale potesse mai mettersi in contatto.
Per non sentirsi in colpa, per non deludere e per non avere contatti con le persone doveva semplicemente starne alla larga. Non lo voleva, ma era necessario per non soffrire e far soffrire in seguito.
Preferiva gli estranei che passavano veloci e che non rivedevi più proprio perché non vi era nessun impegno, c'era solo spazio per l'immaginazione e, quando si immagina, non si immagina mai a proprio svantaggio. In disparte, da terzo e non da protagonista, era il suo luogo preferito. L'unico che, ad ogni modo, conoscesse da diverso tempo a quella parte.
Si chiedeva, però, se persino egli stesso fosse guardato con interesse dagli altri o anche solo da un'unica persona che era riuscito ad ammaliare. Si domandava se "gli altri", proprio come lui, si prendessero un istante e vagassero con la mente sulla sua vita, sui suoi hobby, su se avesse mai amato, su chi amasse, su cosa gli piacesse mangiare e cosa invece cercava di evitare nelle persone – ovviamente in senso idealistico, dato che non condivideva legami con esse. Si chiedeva se avessero mai anche solo pensato a tutto ciò che si celava in lui, a tutti i suoi pensieri a partire dal non voler avere relazioni per non sentirsi in colpa, deludere, avere contatti, ...
Probabilmente no.
Conosceva quella stazione da tutta la vita, ma vi si recava assiduamente da anni per motivi lavorativi: nel tempo si era abituato a quei ritmi e a tutto quel via vai che, inizialmente, poteva far disorientare.
La città di Canterbury aveva una stazione modesta, non grande ma mediocre. Come tutta la città in sé, si ritrovava spesso a pensare.
La conosceva come le sue tasche, ci viveva da sempre. Sentiva tutto quel mondo come casa, la sua felicità si autoconvinse fosse quella: svegliarsi, lavarsi, vestirsi, mangiare, stazione, lavoro, pranzo, lavoro, stazione, cena, dormire. Spesso si domandava se realmente lo fosse, per poi ricordare che lui, tempo addietro, felice lo era stato. E quella che lui stava vivendo in quel momento era probabilmente solo l'ombra di tale gioia, era un semplice sopravvivere, un semplice galleggiare.
Ma gli andava bene così, non poteva fare altrimenti. Non posso permettermi di fare altrimenti.Una mattina, dopo essersi svegliato, lavato, vestito e aver mangiato, si recò alla stazione come d'obbligo.
Seduto su una panchina, la solita, avvolto nei suoi pensieri continuando a osservare il via vai delle persone e le persone stesse, non si accorse nemmeno che una tra loro, tra quegli "altri", alla fine, lo aveva considerato."Come, prego?" si ritrovò a dire con un leggero imbarazzo per la mancata concentrazione.
"Mi chiedevo se avesse una sigaretta da darmi. Il mio treno è in ritardo e oggi non doveva proprio succedere. Devo distendermi i nervi."
La voce dell'uomo davanti a lui era leggermente roca, forse perché ancora assonnato. Aveva un taglio corto, capelli mossi, giacca e cravatta, ben distinto.
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Possiamo far parlare solo i nostri quadri
Fanfiction"Stai flirtando" lo accusò il maggiore. "No, sto solamente dicendo ciò che sento. Non nego che vorrei ti ammaliasse, ma non lo pretendo. Perciò no, non penso di starci provando con te." Ci fu silenzio, e nel silenzio Harry avvicinò la sua mano a que...