Capitolo 1

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Teneva sempre la sveglia vicinissima in modo da non fare tardi al lavoro, quindi ogni volta (compreso quel giorno) era un parto. Si alzò, cercando gli occhiali, e provò a dare una sistemata ai suoi capelli bianchi. Dopo 25 anni da giovane ragazzo cereo, ogni mattina non poteva comunque fare a meno di pensare a quanto sembrasse anomalo. Di sicuro gli sguardi da parte degli sconosciuti non aiutavano a levarsi di dosso questa sensazione. Tuttavia, si trattava solo di una rarissima forma di albinismo tricotico, niente di grave, anzi un'ottima occasione per rompere il ghiaccio, se mai. Diede uno sguardo al suo appartamento, che per quanto fosse disordinato, dava comunque l’impressione di uno spazioso interno di un bel design tra moderno e antico, proprio di quello stile unico che caratterizza gli interni a Londra. Una cucina open-space con penisola dava sul salotto, con un tappeto di quelli pelosi e un grosso divano davanti a una smart TV e, a destra di quella, una stufa a pellet all’angolo. Sulla destra, una rientranza nel muro ospitava una grande finestra in legno che si affacciava sulla strada principale, seguita da qualche mobile in legno scuro. Al di là del muro opposto si trovava la camera, che aveva un aspetto un po’ meno freddo del resto della casa. Tutti i muri erano scuri. Gli piaceva questo contrasto del bianco sul nero, anche se la casa non sembrava così austera. A sinistra c’era il bagno e una scala che portava al piano superiore, dove c’erano una stanzina adibita a magazzino e un modesto terrazzo pieno di piante.
Dopotutto lo pagavano bene.
Guardò un attimo fuori dalla finestra e vide la sua solita Londra del lunedì mattina: gente che corre, gente che perde la metro, quelli che portano fuori il cane, e non poco traffico. Un cielo nuvoloso, come di consuetudine, almeno per una giornata di fine febbraio nel Regno Unito. Un vento leggero spazzava le prime foglie sugli alberi dell’abbazia di Westminster, e si intravedeva un sole pallido dall’orizzonte. “È anche ora di lavarsi”, pensò, e si mosse verso il bagno. Era originario dello Yorkshire, anche se è cresciuto a Londra. Era un ragazzo alto, molto pallido, con una faccia né troppo tonda né spigolosa. I suoi capelli mossi arrivavano a coprire le orecchie, con un ciuffo che cadeva da sinistra fino quasi a coprire l’occhio destro e, anche se sembravano folti, ai lati sotto erano rasati. I suoi occhi erano non troppo grandi, di colore verde smeraldo, e con un’espressione mista tra stanchezza e scaltrezza. Si mise la solita camicia a scacchi, un paio di jeans, e mise l’acqua sul fuoco, per il solito tè nero: “Prince of Wales”, il suo tè preferito. Prince of Wales era anche il nome di una nave inglese durante la Seconda Guerra Mondiale. Per un attimo si ricordò di quel gioco in stile anime sulle navi da guerra che aveva sul tablet e sorrise.
Guardò il suo Casio. Erano le 7.00.
Tardi.
Doveva lavarsi i denti, andare a prendere Sarah a Knightsbridge alle 7.30, e poi prendere la metro con lei fino a Southwark, allo Shard. Bevve il suo tè in tutta fretta, corse in bagno a lavarsi, si mise il trench nero, prese la 24 ore e uscì di corsa, incastrandosi nelle cuffiette per mettere un po’ di musica.
Il suo orario di lavoro è diverso da quello normale. Deve presentarsi in ufficio alle 8, mentre di solito la gente lo fa un’ora dopo. Quindi, a parte alcuni altri con orari di lavoro non comuni, o la gente con il cane, non c’era nessun’altro in giro. Passò da Storey’s Gate a Great George Street e continuò a piedi fino a Kensington Road passando di fianco a Buckingham Palace, senza rendersi conto che avrebbe potuto tranquillamente prendere la metro. Il sole stava venendo fuori tra le nuvole e gli uccelli cantavano sui tanti alberi di quel viale -sembrava uno scenario di qualche fiaba- mentre senza neanche che facesse in tempo a suonare il campanello la porta si aprì e dall’appartamento Sarah si buttò su di lui, più allegra del solito:–Ciao, Lloyd!
Sarah era la migliore amica di Lloyd sin dall’accademia, anche se aveva un anno meno di lui. Era una ragazza allegra e solare, certo, non senza momenti bui, ma alzava in modo significativo la sua voglia di vivere. Sua madre veniva da Cipro e si era stabilita a Londra, dove aveva conosciuto suo padre. Sarah si sminuiva spesso, ma era una bella ragazza. Aveva una pelle un po’ olivastra, dei capelli marroni molto mossi, che spesso raccoglieva in una coda o una grossa cipolla, e si vestiva bene. Era decisamente più bassa di lui, ma, a sue parole, solo perché Lloyd era un lampione. Per questo gli si era appesa come un koala.
–Ok Sarah, mi hai preso, puoi staccarti ora?– Disse Lloyd con voce stanca. Lei lo guardò sorridendo con quei grandi occhi castani:
–Perché non sei venuto in macchina?
Lloyd entrò nell’ascensore.
–C’era traffico. E poi scusa, avrei dovuto sprecare benzina per te?
–La tua auto è elettrica, idiota.
–È comunque meglio la metro.
–Allora datti una mossa– Disse lei correndo verso la stazione –Che la perdiamo!
Scesero le scalette ed entrarono nel vagone all’ultimo secondo, dopo che Sarah aveva trascinato Lloyd -in preda allo stordimento del lunedì- per tutta la strada. Quando sarebbero arrivati allo Shard, avrebbero comunque dovuto fare un altro bel pezzo di strada per arrivare ai loro uffici. Nei momenti di silenzio, era quasi sempre Sarah che iniziava un discorso.
–Da quanto non vedi i tuoi?
–Perché?
–Ci parli poco, ormai saranno anche un po’ anziani. Penso che un po’ gli dispiaccia di non sentire il proprio unico figlio quasi neanche per telefono.
–Hanno i loro amici pensionati a York, Stanno bene. Sono convinti che io sia un dirigente della scientifica.
–Già. I miei credono che io sia nelle forze speciali, guarda un po’. Su cosa lavori oggi?
–Ho un classe D esposto all’effetto di SCP-513. Voi? Niente di nuovo immagino.
–E invece forse abbiamo una pista. I miei uomini mi diranno tutto appena arrivo.
–Wow.
Scesero dalla metro e entrarono nello Shard, presero uno degli ascensori e, strisciando una chiave magnetica, digitarono il piano -4. L’ascensore scese per un po’ e poi cominciò a muoversi in avanti. A fine corsa, una guardia vestita di un blu scuro li accolse con un saluto.
–Dottor Blackburn, capitano White, siete arrivati al pelo.– Disse, porgendogli i badge.
–È lunedì, Mike– Disse Lloyd, attaccando il badge alla camicia –Il dr. Walkers è in laboratorio?
–Da almeno 10 minuti.– La guardia tornò dietro il bancone.
–Allora ci vediamo in pausa pranzo, agente White.– Disse, rivolto verso Sarah.
–A dopo, dr. Blackburn!– sorrise lei.
Mentre percorreva quasi di corsa il corridoio, Lloyd pensò “per fortuna qui alla Fondazione non ti fustigano se tardi qualche minuto” e scivolò dietro la porta del suo laboratorio.

SCP: The Blackburn ReportsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora