Capitolo primo e secondo

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IPascoli di Fela (mar. 910)

Una casa stretta, di pietra grigia, non più alta degli alberi  cresciuti a lato. Un tetto di tegole erbose ed un caminomassiccio da cui esce un fumo denso di legna umida. Accanto allacasa, le stalle, l'ovile, l'orto, protetti da un muro direcinzione, solida barriera decorata di muschio. Un solo accessoserrato da un pesante cancello di ferro, oltre, un pascolo degradantea sud, verso il torrente. Querce imponenti fanno ombra ai murettidivisori dei pascoli dove brucano capre straripanti di bianco manto.Lungo l'argine del torrente, il campo coltivato a farro, l'unicoesile raccolto della stagione. Alle spalle della casa un fitto boscodi querce, frassini e castagni, fino a lambire cime antiche sottrattealle selve dallo sferzare del vento. Più in alto, lontane eazzurrine, le alte vette dei monti Effri, la catena che serra laregione da nord.

Questoconosceva Efero. Questo aveva scolpito negli occhi e nella mente,senza bisogno di voltarsi. Camminava lungo il sentiero tracciato traciuffi d'erba e pietre lisciate dal continuo passaggio di uomini edi animali; con la mano destra teneva la lancia, con l'altrareggeva le redini del cavallo moro che lo seguiva docile. Avvolto daun mantello verde, con spalle e schiena coperte da un vello dimontone, camminava fissando davanti a sé il sentiero che lo portavavia, lontano dalla valle.

Suldorso dell'animale, sballottata dal passo, era seduta una bambina.Dalla folta pelliccia con cui era avvolta spuntavano capelli ricciutidel colore della ruggine, scompigliati dal risveglio mattutino. Gliocchi chiari incorniciati da sopracciglia di sottile peluria biondaguardavano l'uomo davanti a sé, cullata dal dondolio del cavallo.Efero si era appena voltato con premura per incontrare il suo sguardoe accertarsi che fosse sveglia.

Nondesiderava allungare la vista verso valle, almeno fin quando nonfosse giunto nel punto in cui il sentiero penetra nel bosco, da doveavrebbe potuto ammirarla, un'ultima volta. Era il crocevia oltre ilquale, da bambino, non gli era permesso andare: da lì iniziaval'ignoto, il timore di perdersi e il desiderio di correre verso ilcancello ferrato. Oltre quel punto non sarebbe stato più possibilescorgere la via di casa. La sua casa. Le mura che avevano protetto lasua infanzia, la terra che lo aveva nutrito e reso forte. Da ragazzo,seduto sugli scalini davanti alla porta, aveva ammirato i pascoliscintillare sotto la luce della luna e il buio assoluto picchiettatodi stelle.

Giuntoal margine della selva si voltò. Adagiò lo sguardo su quelpaesaggio consueto e confortante che in quel momento però confortonon dava. I sentieri portavano tutti verso il cancello, ma luistavolta volgeva il passo verso la parte opposta. Efero partiva perun lungo tempo; era stato assegnato al comando di una regione semiarida, chiamata l'Altopiano dei Colli Ondulati. Un territorio diconfine, poco conosciuto e scarsamente abitato, salvo nei pressidella costa meridionale. Una regione in cui la natura ancora dominavaincontrastata: gruppi di Santri scendevano verso i colli dai montiZirri, mentre altri predatori, ancora sconosciuti al Regno,giungevano dalle terre remote del Deserto Rosso.

Siera trattenuto solo pochi giorni presso la sua famiglia sui colli diFela; giorni riempiti dal rassicurante susseguirsi dei gesti abitualidi suo padre e di sua madre, con l'ultima sorellina ancora al seno.

Dalontano riconobbe il sentiero inerpicato dietro le stalle, percorsodecine di volte con suo padre per andare a caccia di cervi oraccogliere la legna per scaldarsi, e con Annalo, suo fratello, percercare bacche e funghi al limitare del bosco; e poi il sentieroprofondo verso il torrente, scavato dal passo delle capre che tornanoall'ovile. Tanti piccoli segni del passo abituale di qualcuno, sulprato d'erba perenne. Era la fine dell'inverno, i pascoli adovest brillavano al sole del tardo pomeriggio e l'aria, per quantofredda, non tagliava la faccia come quando era spinta dal vento delNord.

Eraarrivato il momento di andarsene, il doloroso momento dei saluti.Così come voleva la tradizione, al lato del cancello stavano l'unoaccanto all'altro, suo padre, sua madre e i fratelli e le sorellepiù piccoli; l'avevano visto partire e ora attendevano che sivoltasse un'ultima volta, in lontananza, prima di lasciare lavalle. Efero, immobile, solo di fronte a quell'addio, si sentìsmarrito. Ricordò se stesso anni prima: un ragazzino che avevalasciato ciò che di più caro conoscesse, per seguire lunghi anni diaddestramento. La paura di un tempo si era trasformata instruggimento e tenerezza per coloro che lasciava indietro, poi videuna delle sorelle alzare il braccio prima di suo padre e non riuscìad arginare una pena infinita per quella sua dolce sorella. Era Efrache lo salutava; le espressioni del viso e i gesti erano il suo mododi comunicare da quando, nascosta sopra ad un albero, aveva visto unodei fratelli fatto a brandelli da un branco di lupi grigi, come unacarogna.

I Confini di Trisa - I Racconti del Regno vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora