24 maggio

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Fugace é uno sguardo e un tocco di mano, disperso, rubato e celato nell'attimo di un addio. Il fischio di un treno ormai lontano, il fronte e la guerra, quelle parole e la penna che al foglio le serra:
Amore è del sussurro
Il suono di una viola,
Cielo infinito e azzurro,
carme della mia suola,
arsa e abrasa serva
della patria tiranna
che amor non ti riserva,
se'l core non t'affanna.

Nebbia e vento in sé egli avvertiva, fuori la pioggia, dentro il deserto sotto un temporale estivo. Un biglietto, di quel tocco ultimo passo, raccolto in un gesto furtivo.
Era la primavera che cedeva il passo all'estate la cornice del prato e l'ombra del vecchio pruno, contorto e carico del dolce frutto, il loro riparo seduti sotto le sue verdi frasche.
"Parti dunque?" sussurrava un labbro lieve.
"No" rispose Massimiliano.
Il vento li sfiorava e i capelli di Rebecca ad esso si abbandonavano.
"Eppure così hai detto".
"Ti sbagli".
"Affatto, mi inganni" diceva e la lingua le diveniva salata come rigato il viso.
"Mai. Parte solo di me il corpo".
"E non sei tu corpo?" Ribatté Rebecca.
"Per i tedeschi e gli Austriaci solo".
"E possono loro ciò che non posso io? Avere ciò che ora è mio?"
Suo era altro: una mano non è pelle, un petto non è carne. Gli occhi del ragazzo chiari e di lei scuri lottavano, si completavano.
"Verrai alla stazione?"
"Perché? Non è questo già un addio?"
Poneva il pruno ora i frutti più vicini, aumentavano il vento, tenero zefiro dentro in scirocco, e i fiori di una bora che sulla chioma di lei si posavano.
"È solo parte di un addio"
"Perché?"
"Manca ancora un qualcosa di mio" rispose lui.
Così venne e lei come tutte in lutto nel clima di festa tra cori alla vita e già pronunciati futuri funerali. Baci di un arrivederci che sapevano di fine, brindisi di gioia che sapevano di sangue.
Tornò Rebecca a casa con quel biglietto, chiuso, da non aprire fin al suo ritorno, "o fino a che sia certo che avverrà ", le aveva detto Massimiliano.
Faceva caldo in Italia, un triste caldo di mancanza: l'assenza su Rebecca di un'umana ombra lontana, che su altro anziché lei allor si proiettava.
Sotto il pruno raccolta piangeva con le caduche foglie sul capo, secche e raggrinzite, d'un pianto condiviso e tutto suo, che con la pioggia si mesceva. S'assopiva attorno a lei la fauna, moriva la flora e silenti nascevano i funghi che gli alberi inarrestabili infestavano furenti.
E sola stava sotto la neve, ma più non piangeva. Con la mano delicata accarezzava il fusto grinzoso e prosciugato del vecchio pruno, ammalatosi per primo quell'inverno, in un abbraccio ricambiato. Stringeva a sé il biglietto al petto per sentirlo e con esso respirava ad occhi chiusi per non aprirlo, nemmeno per sbaglio, nemmeno per un abbaglio.
I frutti stavano in terra marciti e nascosti dal manto di neve, sicuri, protetti e liberi di dare alla terra il proprio seme, come Rebecca dava ad essa dolendo il germoglio del proprio dolore; della propria speranza annegata nel rancore.
All'alba si partiva, nessuno sapeva dove si andava; nessuno dei soldati voleva saperlo. Una lettera scivolò tra le dita di Massimiliano nella cassetta arrugginita; portava un nome, un indirizzo sul retro, ma impresso era nella carta il luogo in cui doveva andare. Andava ove fluivano le lacrime, scorse la notte prima fin al mattino, fino a quando non la chiuse con la cera; un sigillo e una sentenza veritiera.
Non andò quel giorno Rebecca al vecchio e infermo pruno, e proprio quel giorno quello cadde in terra senza d'altrui un calore alcuno. Quanto avesse il pruno giovato in primavera dell'amor la compagnia noto era al mondo, ma tralasciato fu quanto sofferto avesse spoglio nell'autunno la morte invernale, che non giunse quando sul gelato manto cadde il cielo perdendo, ma quando a precipitare fu l'ultima sua foglia e, vivo, poté contemplare il leggiadro vorticare fino al fangoso suolo nella sua danza mortale.
Giunse ancora umida la lettera, sigillata con quel timbro militare, firmata con un nome familiare e sconosciuto, dalla quale ne sibilarono le femminili labbra sottili un accertato saluto:

" Amore è del sussurro
Il suono di una viola,
Cielo infinito e azzurro,
carme della mia suola,
arsa e sí abrasa serva
della patria tiranna
che amor non ti riserva,
se'l core non t'affanna.

Se in fin vinto avrà Colei
che eterna tutto tange
solo una rosa vorrei
veder che, mesta, piange
sul monte e'l nudo passo
ove il rispir lasciai,
poggiato presso un masso
che sa quanto t'amai ".

Molto non fu il tempo che Rebecca si concesse perché di quei versi, inconsapevoli compagni dei sospiri, il messaggio appieno ne cogliesse; mano nella mano, con quel biglietto ancor serrato in fronte e con l'amato, andava per il prato leggera, in un'eterna primavera.

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