due

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Jimin camminava stanco nei corridori dell'università, cercando di arrivare all'aula dove si sarebbe tenuta la prima lezione della giornata senza svenire per il sonno.

Era abituato, certo, a svegliarsi così presto ogni mattina e a non riuscire a prendere sonno ogni notte, perché i pensieri, per lo più negativi, avevano sempre la meglio, ma non che non gli pesasse.

Le immense borse sotto i suoi occhi stanchi, pronti a chiudersi, e l'andamento a morto tra quei tanti ragazzi, per la maggior parte, pieni di vita, ne erano la prova.

Venire all'università era una delle cose che, dalla morte del suo migliore amico, odiava di più.

Jimin era sempre stato bravo a scuola, la sua media e i suoi voti erano da rendere orgogliosi qualsiasi genitore e gli piaceva studiare.

Gli piaceva sapendo che avrebbe passato parte del pomeriggio a spiegare a Taehyung quell'esercizio di matematica che, ovviamente, non aveva capito, perché troppo distratto a completare il suo disegno, per seguire la lezione.

Gli piaceva perché improvvisare, fingendosi insegnanti a turno, come sarebbe stato il ritiro del loro diploma, dopo un estenuante pomeriggio di studio, era esilarante, sopratutto quando il minore dei due cercava, inutilmente, di imitare la voce stridula della professoressa che più odiavano.

Gli piaceva perché una volta finite le ultime lezioni della settimana all'università, andavano a magiare nel loro ristorante preferito, ingozzandosi fino a che uno dei due non avvertiva la nausea arrivare.

Ma ora, ora i suoi voti erano drasticamente calati e con loro anche la sua media, non erano ottimi certo, solo "abbastanza per superare il prossimo esame" e il suo amore per lo studio, completamente svanito.

Come il suo amore per la vita, infondo.

Gli sarebbe davvero piaciuto tornare a sorridere, a studiare per bene, ad essere felice, a vivere, per davvero.

Ma ora nulla sembrava aver senso.

Cosa aveva ancora senso dopo la morte di Taehyung?







Lo fissava, non lasciandosi sfuggire nemmeno il minimo particolare, mentre stanco percorreva uno dei tanti corridori dell'università, avvolto nella sua fin troppo grande felpa bianca latte, come la sua povera pelle sciupata, e il volto chino in avanti per non incrociare lo sguardo di nessuno.

Park Jimin era tanto dannatamente triste quanto bello.

Etereo, così lo definiva Jungkook, un ragazzo circa un anno più piccolo di lui, un viso da bambino, ma con un corpo che diceva tutt'altro.

Era al secondo anno di economia aziendale, aveva deciso di seguire così la strada dei suoi due hyungs, entrambi due anni più grandi di lui, Namjoon e Yoongi.

Park Jimin era da sempre il suo sogno proibito; la prima volta che lo vide aveva appena iniziato il liceo, mentre l'altro ragazzo aveva appena iniziato il secondo anno.

Jungkook era un ragazzino abbastanza timido e insicuro, molto più di quanto lo fosse ora, sempre sulle sue, non importandosene molto degli altri.

Insomma, per attirare la sua attenzione c'è ne voleva, e Jimin ci era riuscito a pieno senza nemmeno provarci.

Jungkook, Namjoon e Yoongi si stavano dirigendo sul tetto ognuno con il proprio pranzo: non mangiavano sempre in mensa, a volte preferivano stare soli, senza che qualche ragazza li disturbasse e allora cosa c'era meglio di quel luogo?

≪Allora Kook, come ti trovi qui? Ti piace la scuola? E i nuovi compagni?≫
Fu Namjoon a parlare, si conoscevano da sempre, erano come fratelli ormai, quindi sapere come stesse, era importante per lui.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 25, 2020 ⏰

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