Nero Paradiso

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Eravamo seduti sulla gradinata della piscina esterna, a bere tè freddo e fumare sigarette prima di tornare a casa. Tutt'oggi, da quel punto, si vedono i luoghi dove si riuniva il gruppo: quattro o forse cinque ragazzi, più qualcheduno di passaggio. Le colonne che usavamo come porte da calcio. I pini marittimi che circondavano il piazzale di cemento. Il panificio accanto al negozio di giocattoli e la birreria di Rolando con i motociclisti tuonati. Non era un luogo distante dal mondo. Capitava arrivassero a parlare con noi adulti ostili, o poliziotti curiosi di sapere cosa avessimo nelle tasche. Ma era fornito di nascondigli sicuri, e dava l'impressione di essere isolato dal tempo.
Quella sera mancava solo Super Ema, che ultimamente si faceva vedere di meno. Il polline dei pioppi era sospeso nell'aria, denso come cotone. Tommi e Fish se lo sentivano dentro i polmoni e le narici. All'odore, però, ti ci abituavi: ne diventavi consapevole solo quando veniva sfidato da un altro. Sul momento stava duellando con l'aroma di plastica bruciata proveniente da un brick di tè alla pesca. Gi aveva acceso la punta della cannuccia lucida, succhiata, che si scioglieva scoppiettando come una candela difettosa.
"Spegni, dai" mugugnò Fish mentre mescolava le carte.
"Sì" concordò Tommi. "Tu hai il naso che gli odori non li senti. E poi quella merda fa male, Gi."
"Bene" disse lui. "Tutte le vite vere cominciano con un forte dolore."
"Spegni o ti sputo addosso"
"D'accordo" gracchiò allora "spengo questo cero in nome di Tommaso White Traverso, il bambino mono-palla più pallido di questa merdosa città." Gi spiaccicò il fondo dell'accendino sulla cannuccia che si squagliò in un buffetto di fumo nero.
"Stronzo di merdalnaso" rise Tommi. Il permaloso si stava riprendendo dallo screzio sul colore della pelle e i testicoli. Guardai i suoi occhioni blu e garantito che stavano squadrando Gi, alla ricerca dell'insulto più cattivo e divertente. Con lui tuttavia alcune offese le evitavi, quelle legate ai genitori dico, anche se quando scappavano rideva pure lui perché manco gli passava per la testa che lo dicevi apposta.
"Tu rimarrai a pulirci i cessi in questa città merdosa" disse Tommi, tutto pomposo "mentre io, finita la scuola, faccio i bagagli e tanti auguri per la tua vita di inferno."
"Io pure me ne vado, garantito" scatarrò Fish, risucchiando un grumo di sputo dal fondo della gola e scaracchiandolo, "Sam quest'estate è stato in Spagna a fare una vacanza studio, roba così. Fa che laggiù le tipe se gli dici che sei italiano ci stanno subito."
"Te credi a quello che dice quel ritardato?" Gi si sistemò il cappuccio della felpa tirato in testa dal quale spuntava un ciuffo di capelli castani. "Spara un mucchio di stronzate, quel nano. Le ragazze ci stanno pure qui. Basta che appena trovi quella che ti piace la tratti male."
Una felpa in vita come si era portato lui ci stava a palla, ma sul momento di uscire di casa mi aveva attanagliato quel senso di fatica che è doversela accollare tutto il pomeriggio. Adesso l'aria si era raffreddata, e fiancheggiava il centro sportivo manifestandosi sotto forma di brividi lungo le schiene sudate. Avevamo corso fin lì in seguito a una delle nostre scorribande.
"In che senso la tratti male?"
"Regola base. Il tacito accordo che c'è tra maschi e femmine. Imparato quello vai liscio come l'olio."
"Cioè? Qual è sto accordo?"
"All'inizio fai il simpatico" iniziò Gi, che sulla vita spadroneggiava teorie per ogni circostanza. "Ironia a palate. Senza fare troppo lo stupido però, sennò pensa che sei ritardato. Poi, al momento giusto, tiri fuori il pensiero che non si aspetta mai e poi mai. Un dettaglio di lei, del suo carattere magari. L'importante è che ci dai un significato profondo che nemmeno lei sapeva di avere. Le femmine si innamorano di te se tocchi un loro nervo scoperto che la maggior parte delle persone non saprebbe riconoscere. E poi, a quel punto, dopo che l'hai baciata, sparisci senza motivo."
"Ma se riesco a farla innamorare perché devo sparire?"
"Solo se fingi che non te ne importa si innamorerà di te. Altrimenti, nel giro di pochissimo, ti eviterà lei."
"Io non ce la faccio a tenermele dentro 'ste robe, cazzo di un buddha, perché cavolo di motivo bisogna aspettare?"
"Piantatela di parlare, cazzoni" mi accesi una sigaretta. "Finiamo la partita a carte che devo andare."
A cena sarebbero venuti di nuovo gli amici di mia madre e mio padre. Mamma in loro presenza diventava stupida e giuliva, millantando la nostra come una famiglia perfetta e senza problemi. Mi faceva tenerezza, un sentimento controverso che non bisognerebbe provare per un genitore. I Parodi mangiavano e parlavano dei loro viaggi tutta la sera, nominando luoghi che i miei genitori fingevano di conoscere. Noi non facevamo mai viaggi. E quando la cena finiva, ne seguiva la litigata in cui mamma accusava papà di averle rovinato la vita.
Gi scaraventò tre assi sul cemento dello scalino. "Con questi fanno cinquantun punti. Ho vinto. Cacciate le monete, minus habens."
"Hai messo gli assi in fondo al mazzo!" gridò Tommi.
Il sole era quasi tramontato. Tra i cespugli tutt'intorno lampeggiava qualche lucciola. La quiete era interrotta dal frinire dei grilli, e da un auto che in quel momento faceva il suo ingresso alla piscina.
Fish arricciò la pellicola delle sigarette dove stava avvolto un cacullo di fumo. La infilò abilmente nelle mutande nascondendosi dietro la schiena di Tommi.
"Parlo io" capeggiò Gi. Il rombo della volante crebbe come un tuono prima di sgretolarsi appena sotto la gradinata. Dall'auto scesero un uomo alto e nerboruto, accompagnato da un giovane con i capelli bimbi gellati. Non era la prima volta che passavano da queste parte. Ci conoscevano, e noi conoscevamo loro.
"Come mai correte quando vedete la polizia?"
"'Nessuno corre. Stavamo solo scendendo perché è ora di tornare a casa."
"Avete qualcosa dietro? Se lo troviamo noi è peggio."
"Niente di niente, signore. La droga dovreste cercarla altrove, secondo me, non dai ragazzini che vengono qui a giocare e non fanno niente di male." Gi ostentava calma è un fastidio fasullo per i sospetti degli agenti.
"Cambiaso" sbuffò il vecchio, "io so chi sei, e so chi era anche tuo padre. Sarebbe deluso di vedere che suo figlio è un teppistello fallito e bugiardo. Oggi non stiamo cercando i vostri spinelli del cazzo, quelli lo sappiamo che ce li avete."
Il comandante ci fece appoggiare all'auto, svuotò i nostri zaini mentre quello giovane ci tastava. "Dove siete stati oggi?"
"Sempre qui. Perché, cos'è successo?"
"Cos'è successo non sono cazzi tuoi, Pesce. Tu sei il più rincoglionito dei tuoi amici, sbaglio?"
"Lo scemo del gruppo" approvò il collega.
Fish rimase zitto con la schiena appoggiata alla macchina, mentre Tommi si fece scappare una ghignata.
"Addosso non hanno niente" annunciò il giovane.
"Io lo so che voi andate in giro a fare cazzate quando vi annoiate" disse il comandante, "vi piace rompere il cazzo alla gente, vero? Stavolta però qualcuno ci rimette la pelle."
Tommi unì le mani in segno interrogativo: "cosa dovrebbe venirci in mente?"
Uno scoppio, questo stava pensando lo sbirro. E anche io, sotto la pelle e i nervi che mi facevano stringere le dita dei piedi, pensavo a quello. Una finestra aperta, spaventare qualcuno e poi scappare. L'avevamo fatto altre volte, il danno maggiore era stato un vetro rotto. Ma quello che si era lasciato sfuggire il poliziotto faceva pensare a qualcosa di molto più grave e inquietante.
"Tu come ti chiami, piccoletto?"
"Andrea" risposi "Andrea Paradiso".
"Me lo dici tu cos'avete fatto oggi?"
... è stato Gi, io non c'entro niente...
"Siamo stati sempre qui, può chiedere al bar di Rolando, se non ci crede."
... Rolando non aiuterebbe mai uno sbirro...
Dalla radio dell'auto uscì una voce metallica e femminile. Il giovane salì prima di chiudere la portiera. "Se diciamo di essere stati qui, è perché siamo stati qui" sbottò Gi, "non abbiamo quello cercate, e soprattutto non abbiamo provato a scappare da voi, se l'è inventato. Lei perde tempo con dei ragazzini perché le viene più facile che andare a cercare un vero colpevole."
Nessuno ci aveva visti scappare, quella casa era in fondo a una stradina isolata e immune da occhi indiscreti. Non potevano sapere che eravamo stati noi. Di questo Gi era consapevole, e non avrebbe ceduto ai toni aggressivi dell'agente. Il poliziotto avanzò verso di lui muso a muso, afferrandolo per la felpa. La manica della divisa scoprì un Rolex d'oro, falso come tutto il resto.
"Sentimi bene, bambino viziato, apri ancora quel cesso..."
Il finestrino dell'auto si abbassò lentamente. "Comandante!" gridò il giovane, richiamando l'attenzione del collega "comandante, un'altra esplosione."
"Metti in moto allora" sbraitò lui digrignando i denti, "che cazzo aspetti?"
Allontanò Gi con una spinta. Il suo fisico filiforme barcollò per qualche passo. Poi lo sceriffo salì in macchina. "Filate a casa, ragazzini."
Il giovane girò la chiave e partì, accese la sirena e le gomme fischiarono accompagnate dal tuono che sparì come era arrivato, ora che il sole era tramontato e i fare dell'auto illuminavano un'ultima volta l'acqua della piscina immersa nel buio. Da lì, solo i rigurgiti dei suoi filtri e i fuscelli spinti dal vento. Nient'altro. Eravamo di nuovo noi soli.

"Andrà tutto bene, Gi" lo sconforto nella voce di Fish mi diede un senso di spossatezza.
Sulla via di casa Gi si era accasciato a terra, con la testa fra le ginocchia e la schiena appoggiata alla saracinesca di una gelateria. Tommi mi chiese muovendo il labiale se stava piangendo. Alzai le spalle come a dire non lo so, anche se era ovvio fosse così. Tommi allora si sedette e lo scosse. Erano le nove ormai. Sedetti anche io e rimasi in silenzio accanto ai miei amici. Fish, Tommi e me, intorno a Gi nell'attesa del niente. I capelli schiacciati sulla fronte e l'aria da scoppiato gli davano un che di esilarante. Sembrava uno sborniato, con il naso rosso che continuava a tirare su.
Fish disse: "abbiamo ammazzato qualcuno, secondo voi?"
"Nessuno qui ha ucciso nessuno."
Ripercorsi l'attimo in cui svoltavamo l'angolo correndo con tutto il cuore nelle gole. Il fuoco che soffia fuori il petardo prima del tuono. L'esplosione, e la ragione che si spappola. L'odore acre di polvere da sparo, il cartoncino rosso che diventa un fluttuare di coriandoli diversi. Un incidente e un senso di colpa. Ma anche se dentro c'eravamo tutti, fino a prova contraria era stato Gi a centrare la finestra. E questo, seppur squallido e miserabile, era il più confortante dei pensieri. E inevitabile.
"Qualsiasi cosa abbiamo fatto è un cazzo di incidente" fece Tommi. "Non possono sapere che siamo stati noi se teniamo la bocca chiusa."
"Esatto" approvò Fish, "se avevano qualcosa in mano ci prendevano già oggi, giusto?"
"Nessuno si farà mai scappare una parola fuori da noi quattro" promise Tommi. E lo giurammo. Senza strette di mano né altro. Solamente dandoci la rispettiva parola.

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