Fish

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Il maestrale scuote i cipressi sulla strada, creando improvvise nuvole di polline giallo che scendono lente sui marciapiedi e sui cappucci delle nostre giacche.
Ci nascondiamo in una viuzza che sale a chiocciola fno a un condominio privato da cui si vede il mare. È un posto tranquillo, dove si possono fumare le sigarette senza il rischio di essere visti da qualche insegnante.
Le volte in cui usciamo presto da scuola ci addentriamo nella boscaglia e camminiamo in cima al forte. Dall'alto di quel punto si vedono i tetti delle nostre case e la costa frastagliata. Con Gi andiamo lassù nelle domeniche di brutto tempo, quando gli altri restano in casa e nel vento freddo si respira quella malinconia. Oggi siamo usciti alle due, e non c'è tempo per camminare fno lì. Sediamo sui gradini dietro la prima curva della stradina, io, Gi e Titto.
''Me ne dai un morso?''
''Mi sa di no, White.'' Gi strofna la focaccia nella sua carta lucida e oleosa tentando di asciugarla. ''A me non fa impazzire quando è troppo unta.'' Dice: ''questa però appena sfornata è bella morbida e calda.'' Ridacchia prima di strapparne poco meno di metà e consegnarla a Titto, affamato e riconoscente. ''Sei il migliore, zucca rossa.'' ''Comunque sentite,'' Gi stacca un morso e fa cenno con la mano di aspettare che deglutisca. ''Mh, scusate. Dicevo, vi interesserebbe guadagnare qualche spiccio?'' Un raggio di sole illumina una foglia marcia dove transita lentamente un bruco. Dietro di lui c'è un altro bruco, seguito da cinque o sei bruchi attaccati in fla indiana. Sto per toccare quello sulla foglia di fco marcita, quando Titto mi dà un pugno sulla mano nocche contro nocche. ''Sei fuori?'' Dico: ''mi hai fatto male, pallido del cazzo.'' Traverso sghignazza. Guarda prima me, poi Gi, poi di nuovo me. ''Quelle sono processionarie, brutto ritardato. Se le tocchi ti si gonfano le mani.''
''Che stronzata sono le processionarie?''
''Non è una stronzata'' mastica Gi ,''il cane della mia vicina di casa le ha leccate ed è morto.'' ''Sono tipo dei bruchi velenosi che cadono dagli alberi'' Titto mi mette una mano sulla spalla, ''se li tocchi ti viene una reazione allergica e iniziano a pruderti le mani.'' ''Ah, cazzo, grazie socio.''

''Già,'' dice lui ''sono di quegli esseri che non meritano di esistere.''
Titto si accovaccia con le punte delle Adidas a pochi centimetri dalla foglia imbrunita. Passa l'accendino sul dorso della processionaria. I peli rossicci che ricoprono l'insetto si ritirano, mentre il corpo spugnoso dell'animale si contorce lentamente nel calore bluastro della famma.
''Sei un sadico'' dice Gi.
''Fosse stato il tuo di cane? Potrebbero uccidere il cane o il gatto di qualcuno che vive qui intorno.''
''Forse ha ragione'' concordo, ''così però le torturi.''
''Va bene, va bene.'' Si alza, e con i talloni spreme l'intera fla di bruchi velenosi, riducendoli a una poltiglia densa e granulosa.
''Contento adesso?''
''Molto, grazie'' dice Titto compiaciuto, mentre struscia i piedi in un'aiuola per pulirsi le suole delle scarpe. ''Comunque da me sicuro è già pronto, andiamo a casa?''
Scendiamo la chiocciola di mattoncini rossi fno alla strada davanti a scuola. Resterei ancora fuori con i ragazzi a chiacchierare di calcio magari, o di dischi, per poi virare il discorso sulle femmine così da parlare di Federica Solari.
Stanotte ho fatto di nuovo quel sogno. Succede spesso da quando ci siamo rivisti a fne giugno, alla festa sulla spiaggia di Paraggi. L'ho notata subito nella moltitudine di volti noti, quasi tutti solamente di vista. Lei mi ha chiesto se ero davvero io, sorpresa di come fossi cambiato in pochi anni. Le ho fatto la stessa domanda, il suo viso però era identico alla foto che le ho scattato durante la gita in terza elementare, e che ho conservato in un piccolo album.
''Mio padre è stato trasferito per lavoro'' disse, ''ho fnito la scuola media a Stoccarda. Ora però ci siamo trasferiti di nuovo qui.''
In questi casi è consigliato trattenere l'entusiasmo. Ho chiesto: ''E adesso dove vivete?''
''Sempre nella stessa casa.''
''Ovvero?'' domandai, fngendo di non ricordarlo.
''In via Giordano Bruno.''
La prima e ultima volta che entrai in quell'appartamento, un giorno di primavera in quinta elementare, il solo amico che avevo si chiamava Luca Marsano.
Quella mattina si era seduto come sempre nel banco vicino al mio, e con le mani sulle guance aveva detto: ''io alla festa di oggi non ci posso venire.''
Pensai che nemmeno io sarei andato. Tuttavia mamma, nel pomeriggio, mi costrinse a portarle il regalo. In cima alle scale, davanti la pesante porta blindata, i

signori Solari mi accolsero sorridenti. Altri adulti ignari di quanto ci si può sentire soli da bambini. La mamma di Federica era una donna alta ed elegante. Indossava un abito verde attillato, la cui scollatura lasciava intravedere un seno grande, ricoperto di piccole lentiggini marrone chiaro. Disse di dare a lei il pacco che sarebbe stato aperto prima della torta, e di andare a divertirmi in camera di Federica. Mi mossi lento lungo il corridoio, con il desiderio di tornare indietro e uscire dalla porta di ingresso senza farmi vedere. Non lo feci. Entrai nella stanza, dove tutti scoppiarono a ridere. Sedevano in cerchio, e tra loro c'era anche il mio amico Luca Marsano. Alla domanda sul perché mi avesse detto che non ci sarebbe stato, sussurrò qualcosa nell'orecchio di Alessio Parodi. Quest'ultimo apparteneva al gruppo di quelli che giocavano a calcio in squadre come Genoa o Sampdoria. Classici bambini riempiti di sé da genitori competitivi, il cui unico scopo nella vita sembra essere quello di prevalere sui fgli altrui. Parodi rideva, e con lui gli altri sghignazzavano senza motivo. Io anche fnsi di ridere nello sconforto, sentendo crescere in me un odio che covavo già da tempo. Al che, Federica Solari si alzò in piedi e li fece smettere. Mi porse la mano, disse: ''vieni a sederti qui, vicino a me.'' Un gesto che mi ferì più delle risate dei miei compagni. Uscii dalla stanza e andai al bagno, con l'intenzione di non uscire fno all'ora in cui papà sarebbe arrivato a prendermi. Mi calai i pantaloni e sedetti sulla tavoletta del water. Pensai a quanto odiassi mia madre. Poi strusciai sul gabinetto avanti e indietro, con l'idea che lì la signora Solari sedeva senza mutande. Dopo mi guardai allo specchio. A un calorifero erano appesi gli accappatoi, il suo era rosa con l'iniziale del nome ricamata. Lo strofnai sul viso, assaporando le volte in cui il ruvido tessuto era venuto a contatto con il suo seno. In un bicchiere di ceramica sul lavandino c'erano tre spazzolini. Tolsi il cappuccio a quello rosa e lo odorai immaginando la sua bocca. Lo sforai, lo leccai, lo succhiai ed ebbi un'erezione. Poi qualcuno bussò alla porta.
''Ti va di camminare sulla spiaggia?'' chiesi a una Federica Solari quasi adulta.
I cerchi d'argento sui lobi brillavano nella luce di una lanterna di carta. Lei non fece alcuna espressione, si guardò alle spalle, chiese: ''sulla spiaggia?'' disse: ''sì, mi va di fare due passi.'' Allora scesi la scala di legno accanto a lei. Dallo stabilimento balneare, per l'occasione adibito a discoteca, giungevano le luci e la musica ovattata. Più ci muovevamo verso l'acqua, più il baccano si faceva uno sciacquio dolce e rilassante, e le luci multicolore un pallido fascio lunare. Lei avvolse il suo braccio intorno al mio. Si tolse una scarpa. Mi porse una seconda volta il braccio e tolse anche l'altra. Ci sedemmo sulla piccola piattaforma di

pietra con i piedi a bagno nel mare. Poi lasciò andare la schiena all'indietro, mi trascinò con sé scoprendomi il tetto di stelle infuocate nella notte estiva. ''A che cosa pensi?'' mi chiese. ''Non penso quasi niente, e tu?''
''Penso solo allo spazio'' disse con aria sognante.
C'era una stella meravigliosa. La indicai con il dito, lei anche alzò il braccio e le nostre mani si sforarono per un istante. Poi sentii il suono liquido delle labbra schiudersi, e dalla sua bocca uscire le parole di una canzone che conoscevo. ''Ti ricordi quella strada...''
''Eravamo io e te...''

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 29, 2020 ⏰

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