Capitolo 5

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Le sere successive ho più volte ripreso quell'autobus con abiti sempre più succinti ed atteggiamenti sempre più sguaiati. Mi beavo degli sguardi affamati degli uomini sulle mie forme generosamente esposte ma anche degli sguardi di disapprovazione e/o d'invidia delle donne. Nelle serate in cui l'autobus era maggiormente affollato avevo goduto nel sentire le mani di estranei sfiorare la mia pelle, palparmi senza troppa dissimulazione il culo.

La mia vita era già cambiata e avrei quasi dimenticato il motivo per quale tutto ciò era cominciato se non fossi dovuta tornare a casa tutte le sere e sottopormi ad estenuanti discussioni con Marco che diveniva sempre più polemico nella misura in cui io divenivo sempre più sprezzante nei suoi confronti fino a ieri sera quando la mia vita ha cominciato a prendere una piega del tutto inaspettata.

Ero tornata più tardi del solito proprio per vedere se Marco mi avrebbe aspettata sveglio. Era sveglio e mi aspettava seduto in poltrona visibilmente alterato. Sulle prime mi sono comportata come al solito: senza neppure salutarlo mi sono avviata verso il bagno ma lui, alzandosi di scatto, mi aveva preso per un braccio chiedendomi con aria minacciosa dove ero stata fino quell'ora. Io gli urlavo di lasciarmi andare immediatamente, che non si doveva permettere di mettermi le mani addosso e altre cose di questo genere.

Improvvisamente (ma tutto si è svolto in pochi secondi...) Marco senza dire nulla mi molla un secco manrovescio in pieno viso. Non era forte ma è stato come un campanello di fine ricreazione: sono ammutolita immediatamente e mi sono lasciata cadere sul divano proteggendomi la guancia con il verso della mano. Anche se tutto era cominciato proprio per arrivare a questo, non mi aspettavo più una simile reazione e comunque mi rendevo conto con mio sommo sgomento di non essermi affatto preparata a gestire questa situazione. Me ne sono quindi rimasta lì per qualche frazione di secondo lasciando l'iniziativa a Marco; mi guardava con occhi roventi pieni di rabbia e non sembrava aver ancora sfogato tutta la rabbia accumulata in questi giorni (o settimane, o mesi?).

D'un tratto si è avvicinato a me, mi ha detto che non dovevo permettermi di andare in giro vestita come una troia e che mi avrebbe trattata come tale. Mi ha quindi afferrata per i capelli facendomi alzare in piedi e poi chinare sullo schienale della poltrona. Subito sono cominciati a piovere sonori schiaffi sul culo e sulle cosce intercalati da insulti ed esclamazioni (troia, puttana, non ti azzardare più, e così via).

Mio marito aveva ragione: mi ero comportata come una puttana e anche in quel momento la mia posa, seppure forzata, lasciava ben poco alla fantasia. Ma tutto quello che stava succedendo lo stavo vivendo come naturale prosecuzione delle mie "passeggiate" serali: avevo immaginato più e più volte che qualcuno mi prendesse come mi stava prendendo Marco ed ora il desiderio si stava realizzando. Avrei voluto che Marco mi possedesse brutalmente lì seduta stante, avevo cominciato ad ansimare ad ogni colpo e ad ondeggiare sui fianchi. Quando mi chiedeva se ne avevo prese abbastanza o se ne volevo ancora ero completamente presa da queste sensazioni e mi sembrava quasi naturale rispondere di sì. Quel comportamento, però, accresceva la rabbia di Marco che aumentava sempre di più la violenza delle botte. Dopo un po', però, il dolore ha preso il sopravvento sul piacere e ho ripreso ad urlargli di smetterla ma a quel punto Marco mi ha di nuovo afferrata per i capelli e mi ha trascinata fuori di casa chiudendosi la porta alle spalle.

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