Six degrees of separation || Ziam Mayne

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"Meditate, yea, hypnotized
anything to take it from your mind 
but it won't go
you're doing all these things out of desperation
you're going through six degrees of separation"

La camera è immersa nel buio. Le tapparelle abbassate e le tende chiuse non permettono alla luce di entrare. L'aria inizia ad essere troppo densa e pesante. L'odore di chiuso si fa spazio nella piccola stanza, diffondendosi sempre di più, occupando anche gli angoli più remoti e gli antri impossibili da raggiungere, dove anche la polvere si è insidiata per anni senza che nessuno riuscisse più a rimuoverla. La situazione va avanti così da circa tre giorni. E niente è ancora cambiato. Ma Liam non ci fa nemmeno caso, perso com'è tra i suoi pensieri, accoccolato sotto le coperte disordinate, con le ginocchia strette al petto e il viso sepolto nel cuscino tuttora bagnato. Ha gli occhi pieni di lacrime, nonostante tutte quelle che ha già versato da un mese a questa parte, e alcune continuano a scivolargli lungo le guance umide e crespe. La testa rischia di scoppiargli da un momento all'altro, come una bomba ad orologeria. Le palpebre non ne vogliono sapere di restare aperte, non è sicuro nemmeno lui se per la stanchezza o perché è lui stesso a non voler tenere gli occhi dischiusi. Il petto gli fa così male che sarebbe meglio morire. Anzi, il cuore. E morire, beh. Forse quello lo sta già facendo. A dire il vero, vuole solo dimenticare. E magari, pensa, il buio lo può aiutare. Vuole dimenticare, ma le immagini non sembrano avere alcune intenzione di abbandonargli la mente, né tantomeno il cuore. Sono impresse, come tatuaggi sulla pelle. E peggio ancora, sono indelebili.
C'è questo ragazzo, che fino a un mese prima riempiva ogni singola ora delle sue giornate, che ora occupa solo il suo animo. C'è questo ragazzo, grandi occhi scuri, pelle bronzea e capelli neri pece, a cui non riesce a smettere di pensare. Non che prima ne fosse in grado, ma ora è molto peggio, perché questi pensieri sono più dolorosi di una pioggia di schegge di vetro sull'intero corpo.
C'è questo ragazzo per cui Liam è impazzito, da quando lo vide per la prima volta seduto ad una scrivania, con le cuffie nelle orecchie, intento a studiare una materia non definita, quella mattina che aveva accompagnato uno dei suoi migliori amici, Niall, all'istituto d'arte. Aveva imparato a conoscerlo pian piano, moderatamente, restando sempre piuttosto distaccato ogni qual volta ci parlava, quando andava a trovare l'ex coinquilino al college. Spesso lo incrociava nei corridoi che portavano alla camera, che condivideva con il biondo, altre volte - di numero decisamente inferiore, poiché passava metà della sua giornata in giro per l'istituto, a detta di Niall - lo incontrava direttamente lì, sempre impegnato in qualcosa di più importante che rivolgergli un saluto. O per lo meno, all'inizio. Se non ricorda male, la prima volta che si parlarono fu circa due settimane dopo il loro primo incontro, sempre se poi lo si può chiamare così.
Quando Liam era arrivato nella stanza 315, quella dei due ragazzi, Niall ancora non c'era, probabilmente in classe a frequentare qualche noiosissima lezione di disegno o storia dell'arte. Sdraiato, però, sul letto attaccato alla parete destra, quello più ordinato, di cui si riuscivano ancora a distinguere i colori delle coperte, c'era il moro, intento a leggere un libro che, per la sua lunghezza, sembrava più quattro volumi di un'enciclopedia legati insieme. Non si era neppure reso conto del suo arrivo, fino a quando Liam, dopo aver tossicchiato per schiarirsi la voce, nemmeno dovesse pronunciare un discorso alla Casa Bianca di fronte a tutti i presidenti della storia degli Stati Uniti, intervenuto con un semplicissimo 'Hei', aveva interrotto il silenzio, che occupava la stanza. Al che Zayn, così aveva scoperto chiamarsi, aveva semplicemente alzato gli occhi dalle pagine giallastre, per poi puntarle verso di lui. E Liam può benissimo affermare di non aver mai vissuto un momento così intenso, ma al tempo stesso imbarazzante.
Anche se Liam sa benissimo che non è stato affatto un istante profondo, ma gli piace dirlo: adora il modo in cui suona alle sue orecchie, perché, avanti, quale incontro veramente romantico inizierebbe in questo modo? Esatto, perché Liam si è - era - da sempre dichiarato un inguaribile romantico. Ed era esattamente il tipo di persona che sognava l'incontro con la propria anima gemella degno di quello Shakespeariano tra Romeo e Giulietta, ad un ballo in maschera, di quelli con il tipico momento magico in cui i due incrociano i loro sguardi ed è subito amore. Aspirava ad incontrarlo tra le strade illuminate a festa di Parigi, sotto la Tour Eiffel, proprio come accade in quei banali film di Natale. E anche se ha amato ogni singolo attimo vissuto con Zayn, a partire da quel momento in cui i suoi occhi sono stati letteralmente illuminati da una scintilla, Liam cambiava sempre un qualche particolare della loro storia, quando la raccontava a qualcuno.
Fatto sta che alla fine il moro gli aveva risposto. Con un ovvio 'Niall non è qui', è vero, ma gli aveva pur sempre risposto. E Liam aveva sorriso, dentro di sé, come ribadisce ogni volta per non sembrare un idiota, ma palesemente anche in concreto. E da allora i loro dialoghi si erano allungati sempre di più. Liam, ogni venerdì, andava al college costantemente mezz'ora prima che Niall tornasse dalle sue lezioni di discipline plastiche, che davvero non aveva la minima idea di cosa fossero, per parlare con Zayn. All'inizio quest'ultimo si limitava semplicemente ad annuire o negare in risposta o a replicare con monosillabi - No, sì, boh, ma - e alla fine la situazione era migliorata, fino a quando Liam non aveva cominciato a passare le sue notti e le mattine in quella camera che, per tre, era piuttosto stretta.

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