La pioggia cadeva sempre più forte e copiosa e non intendeva dare segno di smetterla. Perchè, sia chiaro, in una giornata di merda deve per forza piovere, gia, a quanto pare esiste una regola non scritta che dichiara che una giornata per essere di merda necessita di pioggia. Ma alle otto e ventisette di mattina la pioggia è l'ultimo dei problemi di Jonas.
Non era per nulla estasiato all'idea di dover andare in un'ospedale psichiatrico, sopratutto perchè in un posto del genere avrebbe sicuramente incontrato uno psicologo. Non sopportava gli psicologi.
Quando aveva dieci anni fu obbligato ad andare da uno psicologo. A quei tempi lui, la madre e il padre vivevano ancora in America.
Non aveva molti amici ma era felice (si fa per dire) così. Anzi, a essere sinceri un amico lo aveva, un certo Steve o Stephen. Steve. Sicuramente Steve. Fù tutta colpa sua. Steve.
St. Joanna hospital. Prima iniziamo prima la finiamo, pensava Jonas mentre si incamminava verso quello che sarebbe stato il suo piccolo inferno personale per i prossimi cento giorni. Era arrivato. Prese un lungo respiro come se stesse per immergersi in apnea e spinse la porta aprendola."E adesso, si inizia".
Aperta la porta la prima cosa che si trovò davanti fu una saletta d'aspetto. La cosa preoccupava Jonas che non impazziva all'idea di aspettare, di nuovo.
La sala era ben arredata (per essere la sala d'aspetto di un'ospedale psichiatrico, si intende). Non c'erano finestre. Al centro troneggiavano tre tavolini rotondi in legno piuttosto piccoli accompagnati da due sedie ciascuno. Su un lato, vicino alla porta, lo spazio era occupato da una libreria polverosa occupata da libri abbastanza sconosciuti.
-Posso aiutarla?- chiese timida e, al tempo stesso, un po' sorpresa una voce proveniente da dietro il bancone.
-Sì, mi hanno detto di venire qui- disse Jonas posando lo sguardo, non sulla donna, ma sul libro che quest'ultima era intenta a leggere. -Sono Jonas Mayer- si affrettó ad aggiungere dopo aver visto lo sguardo confuso della donna.
La donna, o meglio Elaine (come diceva la targhetta) dopo aver sentito il nome pronunciato dal ragazzo davanti a lei non ci pensó due volte e iniziò a cercare sulla sua scrivania un qualche documento, o in alternativa un qualche appunto lasciato lì da una sua collega. Sempre che lo avessero lasciato un'appunto. Dopo un paio di minuti, durante i quali aveva messo a soqquadro la sua scrivania, rialzò lo sguardo sul ragazzo dall'altra parte del bancone che, adesso aveva un'aria abbastanza irritata. -Aspetti un'attimo- fu tutto quello che Elaine riuscì a dire prima di dileguarsi nella stanza accanto, alla ricerca di informazioni.
I minuti passavano e di Elaine ancora niente. Nel frattempo pero un via vai di infermieri o medici o psicologi o semplicemente qualcuno si era creato, alcuni andavano di fretta, altri camminavano con calma chiaccherando con altro personale.
Dopo un tempo che parve indimenticabile, la chioma bionda di Elaine sbucò dalla stanzetta dietro il bancone seguita da un'altra donna che aveva tutta l'aria di essere un medico (o un'assistente sociale, in ambienti così è facile confondersi). Quella donna non ha una targhetta ma non ne ha bisogno dato che la prima cosa che fa è andare da Jonas a presentarsi.
-Salve, sono la dottoressa Justine, sono uno dei medici che si occupa del reparto di pedagogia- Si ferma un'attimo per stringere la mano a Jonas e poi riprendere il discorso con ancor maggiore sicurezza -Immagino si starà chiedendo cosa deve fare qui-
-Sì, in effetti mi è sorto questo dubbio- La interrompe Jonas in un tono sarcastico che non passa inosservato alla dottoressa.
-Vede da circa un mese stiamo lavorando alla creazione di un progetto il cui obbiettivo è quello di assicurare che nessun paziente venga trascurato, specialmente i giovani in pedagogia. Al momento vorremmo solo sperimentare se una cosa del genere potrebbe funzionare. Per cui vorremmo che non lo vedesse come un lavoro, ma come un'opportunità per rendere felice qualcun'altro- La dottoressa conclude la frase con un sorriso. Probabilmente non vede l'ora di tornare a casa, farsi una doccia, ordinare la cena e poi guardare la partita col suo ragazzo sperando in qualche proposta accattivante.
-Quindi devo venire qui a tenere compagnia a dei perfetti sconosciuti che probabilmente non vorranno avere niente a che fare con me ?- Altro sarcasmo.
-Non proprio. Noi preferiamo che veda solo un paziente, in modo così da creare un rapporto di fiducia fra le due parti-
Adesso, la dottoressa sta guardando Jonas, Jonas sta guardando la dottoressa e Elaine non sa se andarsene o restare.
-Capisco- sentenzia alla fine Jonas -Per quanto tempo ?-
-All'inizio due o tre orette saranno sufficienti. Se non ci sono altre domande, Elaine le presenterà la ragazza che dovrà vedere-
-S-si certo- Balbetta un Elaine felice di rendersi utile -Mi segua-
Il corridoio é ancora piú triste della sala d'aspetto. Grigio. Caratterizzato da una schiera di porte grigie tutte uguali distinguibili solo dal numero e dalla cartella clinica.
Le poche finestre presenti sono sbarrate e a mala pena illuminano il corridoio.
Pazienti e medici sembrano tutti uguali. Forse, l'unica differenza è che i pazienti non sembrano avere poi tutta questa fretta.Elaine si ferma davanti alla porta numero 103 senza dar segno però di voler entrare.
-Embè? Restiamo a guardare la porta?-
-Dobbiamo aspettare la dottoressa-
-La Justine di prima?-
-Oh no, con dottoressa intendo lo psicologa- spiega Elaine - Martinez-
-Bene, anche perché non credo di stare molto simpatico alla dottoressa di prima-
-Elisabeth é fatta così, ma mi creda vede talmente tante facce che ormai non si fa neanche più opinioni-
-Sembra piuttosto triste- commenta Jonas prima di essere interrotto da un rumore di passi veloci.-Scusate il ritardo, sono stata trattenuta da un paziente- la donna si ferma e riprende fiato prima di proseguire -Oh e vorrei scusarmi per non essermi presentata al suo arrivo, immagino di averla lasciata con un po di dubbi-
-Non preoccuparti- la interruppe Elaine- la dottoressa Justine gli ha già spiegato tutto, o quasi, non è stato informato riguardo le condizioni della paziente -
- Bhe sono qui apposta! Molto piacere, sono la psicologa, Sonja Martinez- si presentò finalmente la donna tendendo la mano a Jonas.
-Jonas Mayer- disse senza però stringere la mano della dottoressa.
-Vedo che non ci perdiamo in chiacchiere- aggiunse fredda la donna senza fattasi improvvisamente seria -Elaine, puoi andare, ci penso io adesso. Lei signor Mayer invece può seguirmi- e, come dopo un'eternità, finalmente procede ad aprire la stanza numero 103
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Quei 100 giorni
Acak« Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia è o non è una suprema forma d'intelligenza. »(da "Eleonora" - "Racconti del Terrore", 1841)