Emily aveva seguito tutte le indicazioni alla lettera.
Il messaggio, scritto sbrigativamente e con qualche errore di ortografia, le snocciolava rapidamente l'orario e il posto in cui doveva presentarsi per quello che, con un sorriso malizioso, Jodie le aveva presentato come il suo primo giorno.
La ragazza sospirò rallentando per arrivare al luogo indicatole all'ora esatta.
Aveva sfruttato tutte le pause tra una lezione e l'altra per cercare Jodie, ma di lei e dei suoi capelli colorati nessuna traccia, e non rispondeva neppure ai messaggi; sembrava scomparsa nel nulla, o forse non era mai neanche esistita, pensò penosamente Emily.
Aveva soppesato fino allo sfinimento la scelta di presentarsi o meno, e fino a mezz'ora prima era stata certa che non sarebbe andata. E invece eccola lì, a seguire ansiosamente il susseguirsi dei numeri civici sulle infinite villette a schiera di quella strada che stava percorrendo a ritroso.
27... 25...
Accese nuovamente il cellullare e controllò che il numero fosse giusto.
Sentiva i nervi a fior di pelle, e le venne da chiedersi perchè fosse lì.
Abbassò gli occhi: sullo sfondo, seminascosti dalle app e dalle cartelle, lei e Dylan sorridevano felici in un selfie che si erano scattati al ballo finale dell'anno precedente. Apparivano così sereni e uniti e gli occhi chiari del ragazzo ammiccavano nei suoi confronti, come se lui fosse davvero lì davanti a lei.
Ecco perchè era lì.
Si fermò davanti al vialetto.
Il numero 17 era, malgrado le sue aspettative, uguale a qualsiasi altra villetta a schiera di quella strada. Nessuno scheletro pendeva dalla grondaia e non c'era neanche un cartello che la invitasse a girare a largo.
Sembrava tutto dannatamente normale, e fu questo forse che la spaventò più di ogni altra cosa.
Deglutendo il vuoto, percorse lentamente il vialetto, le gambe che si facevano più pesanti ad ogni passo.
Sentiva la testa ronzare e il suo sesto senso le diceva di girare sui tacchi e cambiare meta; se avesse chiamato Dylan in quel momento forse sarebbero riusciti a vedersi per il loro pomeriggio ai videogame. Poteva fare finta di niente ed andarsene. Nulla sarebbe successo.
Salì i gradini del portico e si fermò davanti alla porta chiusa.
Non c'era una crepa nel legno laccato di rosso. Alzò una mano per bussare ma la riabbassò.
"Smettila" si rimbrottò, ma non riuscì a rialzarla.
Cosa avrebbe pensato Dylan vedendola lì? Non sapeva neppure lei cosa significasse essere lì. Nessuno glielo aveva spiegato e lei non aveva avuto il fegato di farlo.
Strinse le labbra. E lei? Lei cosa voleva invece?
Ripensò alla decisione con cui il giorno precedente si era posta di fronte a Kam, spaventata ma risoluta, e sentì quel sentimento darle una scossa lungo tutto il corpo.
All'improvviso tutto le sembrò più ovvio e più facile.
Senza più ripensamenti alzò la mano, ma prima che le sue nocche bianche battessero sul legno rosso, la porta si aprì.
Emily rimase con il pugno chiuso a mezz'aria solo per un secondo prima di riabbassarlo e nasconderlo dietro la schiena. Rimase senza fiato, sospesa, perchè lui era lì davanti a lei: Kam non sembrava diverso dal giorno prima, ma in qualche modo ai suoi occhi appariva più bello.
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My Little Lie
General FictionA Emily non piacciono le feste, non le piace sballarsi fino a stare male ma soprattutto non le piace essere toccata; ama la solitudine e il silenzio, ma più di ogni altra (e per sua sfortuna) ama Dylan, il suo migliore amico e il capitano della squa...