Fame

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Era sempre stato un uomo strano.

Continuamente distratto e con la testa tra le nuvole, chi lo conosceva da tempo non faceva più caso alle sue bizzarrie; non era raro scorgerlo al bar della sua piccola città di periferia intento a fissare il suo cappuccino, come se in esso potesse vedere il futuro.

Rimaneva lì da solo anche un'ora intera, sorseggiando la bevanda che, lentamente, diventava sempre più fredda e poco invitante, perso in chissà quali elucubrazioni che solo lui poteva capire. D'altronde, gli artisti sono sempre un po' fuori dalle righe, è nella loro stessa natura: senza un pizzico di follia, non potrebbero creare nulla.

Forte di questa convinzione e usandola come giustificazione per non sentirsi a disagio nella folla, aveva imparato ad ignorare le occhiate curiose e le risatine maliziose di chi lo scrutava da lontano, sorpreso a parlare da solo e a pensare ad alta voce.

Nonostante le donne apprezzassero i suoi capelli biondi sbarazzini e gli occhi azzurri, rimanevano comunque a debita distanza quando notavano certi chiari comportamenti non del tutto sani, come la bustina dello zucchero posta in un certo modo, o il cucchiaino messo sempre nella stessa posizione bizzarra, perfino come girava la tazza del cappuccino tra le dita.

Tuttavia, nessuna carezza gentile avrebbe potuto mettere ordine nel caos che era la sua mente, traboccante di idee senza capo né coda, come tante pecorelle in fuga dal loro pastore.

Era perfettamente consapevole che, quella, era la sua rovina: c'era tanta musica che pretendeva di essere scritta, troppe voci che si univano al coro, tutto ciò che iniziava a fare veniva lasciato a metà, allettato da nuove melodie che soppiantavano le vecchie.

Incostante, completamente incostante. Glielo dicevano spesso anche i maestri del conservatorio, ma lui non ci diede mai troppo peso, almeno, non nell'immediato. Ah, l'ingenuità della gioventù... succulenta.

Note che andavano e venivano, note di mare, così le chiamava lui: passavano di porto in porto offrendo stupore e meraviglia, per poi andarsene sul più bello e mai più tornare. Si potrebbe dire che le sue opere incompiute fossero le sue amanti, lascive e crudeli.

Quel gioco di seduzione durò anni, finché una di quelle stesse amanti, divenne la sua Musa. E la sua condanna.

Una piccola melodia si fece largo nella sua mente, a poco a poco, come se non volesse disturbare nessuno; era come se qualcuno sussurrasse al musicista quella cantilena al suo orecchio, qualcosa di così delicato da essere quasi impercettibile ma, comunque, sempre presente.

Non seppe mai dire dove l'avesse sentita la prima volta, non era nemmeno sicuro che esistesse qualcosa di simile, spesso non gli sembrava nemmeno reale. Oh, eccome se lo era.

Entusiasta, iniziò a lavorare su quella breve sequenza di note che poteva tirarlo fuori dall'anonimato, in principio con riluttanza, poi con sempre più foga.

Ogni giorno si stupiva di come la sua attenzione nei confronti dell'opera non scemasse, come invece succedeva tutte le volte; ogni idea che non la riguardasse veniva demolita all'istante, lasciando la sua mente leggera e libera di dedicarsi solo a lei, alla sua Musa.

Il tempo passava, i sussurri divennero vere e proprie parole, tanto che l'uomo avrebbe potuto giurare di sentire costantemente qualcosa che gli spifferava le prossime melodie da aggiungere, perfino di notte mentre dormiva. Ti piaceva la mia canzone?

Era come se il brano si stesse componendo da solo per poter nascere e, ben presto, lui non poté più farne a meno. Scrivere quella follia di tonalità diventò la sua sola ragione di vita, fino a raggiungere livelli estremi; spesso passava giornate intere in stato catatonico, senza nemmeno mangiare o riposare, aspettando la vocina che gli suggerisse come continuare, la chiamava a sé come se fosse stata sua moglie.

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