Capitolo 9

190 23 12
                                    

Kenjirou si era aspettato che una volta qualcuno avesse parlato lo avrebbero lasciato andare, o quanto meno che lo avrebbero lasciato in una vasca con dell'acqua, in una stanza isolata dal resto dell'equipaggio, invece Tooru aveva insistito per tenerselo vicino e ora era accasciato per terra come un cane, legato come un cane e con la lingua fuori per la mancanza d'idratazione come un cane. Portò una mano alla catena che gli serrava la gola – chiaro avvertimento del fatto che poteva provare ad allontanarsi o a suicidarsi se proprio ci teneva, ma Kenjirou non aveva la forza né di fare uno né di fare l'altro, anche se la prospettiva di strangolarsi con quel dannato ferro era allettante.
Tooru appoggiò la forchetta nel piatto e si allungò verso Shirabu, scostandogli una ciocca ribelle di capelli bagnati di sudore dalla fronte imperlata. «Hai cambiato idea?» domandò con un tono che Kenjirou trovò irritantemente infantile.
Oikawa aveva iniziato a tormentarlo da quando aveva messo piede in mensa. Si era seduto vicino alla colonna a cui Kenjirou era stato legato e si era divertito per tutto il tempo a prendersi gioco di lui. Gli aveva domandato se avesse fame, gli aveva offerto il cibo umano nonostante sapesse perfettamente che effetto avrebbe avuto sul castano. Kenjirou aveva rifiutato ogni volta e Tooru aveva iniziato a versargli varie volte il contenuto del suo bicchiere sulla coda – Shirabu non aveva ancora capito se lo facesse per non farlo disidratare troppo o per pura cattiveria. Kenjirou scosse la testa e fu a quel punto che Tooru gli rovesciò in testa il calice pieno di vino rosso.
Gli occhi del castano si spalancarono per la sorpresa e anche la sua bocca. Mai errore fu peggiore. Sentì il sapore amaro della bevanda sulla lingua, lo sentì finire in gola e gli venne da vomitare – non tanto per il gusto della bevanda in sé, ma per lo shock. In un impeto d'adrenalina si allungò verso una bacinella e sentì la catena stringerli la gola. Ignorò la sensazione di soffocamento e non appena ebbe il legno vicino si cacciò due dita in gola e vomitò, si strizzò i capelli e si passò frenetico le mani sul viso.
Sentiva il terrore attanagliargli le viscere, la mente annebbiata, il cuore palpitava. Tooru lo guardava ridacchiando me il resto dell'equipaggio lo ignorava. Solo Hajime passava svogliatamente lo sguardo dal castano al suo capitano. Kenjirou si tornò ad accasciare tremando contro la colonna dopo essersi cacciato le dita in gola altre due volte. Ci aveva provato una quarta volta, ma nonostante il senso di nausea fosse forte non era riuscito a vomitare nulla, neppure i succhi gastrici, e ora sentiva lo stomaco vuoto e brontolante, che chiedeva pietà da quello sfogo di terrore.
Kenjirou si addormentò poco dopo con il cuore pesante e mentre pregava gli dei umani di risvegliarsi ancora con le sue pinne, la sua coda, le sue scaglie rosate sulla schiena e le branchie ai lati del collo e non con due gambe e chissà quale altra diavoleria umana.

Eita riprese conoscenza tra le braccia forti di Reon. Non si rese immediatamente conto di esser nel bel mezzo di un ponte in fiamme fino a quando il fumo non gli oscurò la vista e, ancora stordito, si costrinse ad alzare lo sguardo. Per un attimo pensò che fosse caduta una lanterna o che ci fosse stata una rivolta, poi il suono di un cannone che sparava gli fece capire che erano sotto attacco. Si agitò per scendere e Reon non si oppose al suo desiderio, ma Semi se ne pentì non appena portò il peso sulla gamba destra. Un dolore forte, lancinante e acuto si propagò per tutto l'arto e lo fece cedere, lasciando che Eita crollasse atterra atterrito. Si era completamente dimenticato del fatto che gli avessero piantato una lama incandescente nella coscia e ora, immersi nelle fiamme, Reon lo stava riprendendo in braccio per portarlo fuori.
«Shirabu...» Eita si guardò intorno con la vista annebbiata sia dal fumo che dal dolore. «Dov'è Shirabu...? Il... Il fuoco... Gli farà male il fuoco...»
Reon non gli rispose e si limitò a dirigersi in fretta verso l'ultima scalinata che li avrebbe finalmente portati all'aperto, sul ponte. Eita stava decisamente delirando, se si era messo a preoccuparsi in quella situazione di un perfetto sconosciuto, umano o sirena che fosse.
Riemersero alla luce della luna poco dopo. Sul ponte era in corso una battaglia feroce tra i membri dell'Aoba Johsai e i loro ostaggi della Shiratorizawa – ormai non più ostaggi. A fianco a loro si trovava una nave sconosciuta e sulla cima dell'albero maestro svettava una bandiera bicolore nera e bianca.
«L'Inarizaki...» Eita si riprese per qualche secondo dal suo delirio mentale e posò lo sguardo sulla nave appena arrivata. Sul ponte Shinsuke Kita stava con le braccia incrociate e il pesante mantello nero sulle spalle. Al suo fianco, fosse stato dannato, c'era Wakatoshi. Semi sentì l'impellente bisogno di piangere mentre Reon si arrampicava sulla passerella per poter scendere dalla Seijoh. Si avvicinarono a loro e qualche lacrima sfuggì agli occhi affaticati del biondo.
«È un piacere rivederti, capitano.» Reon salutò Wakatoshi con un sorriso.
«Scusate l'assenza. Non si ripeterà più.» rispose Ushijima, poi portò lo sguardo su Semi, ancora sul punto di piangere.
«Dopo facciamo i conti.» sibilò, di nuovo stordito dal dolore e dall'emozione. Reon sospirò.
«Ignoralo. La ferita dev'essersi infettata, non c'è altra spiegazione.» Shinsuke si voltò verso di loro e fece un cenno col capo verso la sottocoperta.
«Portalo in una delle stanze al secondo piano. Sono libere.» esordì, poco prima che qualcosa scoppiasse sul ponte nemico. Si voltano tutti in quella direzione solo per vedere la nave colare a picco e le passerelle di legno cadere in mare. Poi l'attenzione di tutti si andò a concentrare su Taichi che saltava dal parapetto dell'Aoba Johsai per atterrare sul ponte dell'Inarizaki. Tra le braccia stringeva Kenjirou e a quel punto Eita smise completamente di ragionare.
«Shirabu!» scalciò e crollò a terra, avvicinandosi a fatica al castano. Gli sfiorò la pelle e rabbrividì nel sentirla scricchiolare sotto il suo tocco. Kenjirou non aveva su corpo segni evidenti delle torture o del fuoco – pelle secca e screpolata e segni della catena sul collo a parte, si intende. Teneva gli occhi chiusi e doveva aver perso conoscenza. Il petto si alzava e si abbassava lentamente e con cadenza regolare e Shirabu puzzava. Puzzava terribilmente di vino. Eita non se ne preoccupò minimamente e si accasciò sul petto del castano, singhiozzando.
«Mi dispiace...» mormorò. «Mi dispiace!»
Shirabu non diede segni di vita e Semi fu tirato in piedi a forza da Tsutomu – il biondo notò con gran sollievo che non sembrava aver segni di traumi per la botta alla testa che aveva preso – e Kenjirou fu nuovamente preso in braccio da Taichi. Improvvisamente, tutta l'attenzione dell'equipaggio fu catturata da Wakatoshi, che si avvicinò al castano e lo osservò per qualche secondo, stupito.
«Non avevo mai visto una sirena.» mormorò infine. Tsutomu lo guardò con gli occhi sgranati.
«Anche tu conosci le sirene, senpai?» domandò. Shinsuke li raggiunse e rispose al suo posto.
«Ne abbiamo sentito parlare nel corso dell'ultimo anno. Gira voce che un gruppo di sirene abbia aggredito degli umani, ma di questo avremo tempo di parlare dopo.» indicò Shirabu svenuto. «Se non lo mettiamo immediatamente in acqua morirà nel giro di poco tempo.»
Aran si fece avanti. «Dallo a me, lo porto di sotto assieme ai vostri feriti.»
Eita notò in quel momento che Yuu aveva un lungo taglio su viso da cui sgorgava sangue e che Hayato si stringeva un braccio che pareva molto gonfio. Anche Satori non era messo bene, perché zoppicava vistosamente e aveva una delle gambe dei pantaloni macchiata di sangue – Semi non voleva sapere se fosse suo o altrui – mentre Yunohama aveva il busto fasciato da un pezzo di stoffa insanguinato.
Reon lo afferrò nuovamente e lo riprese in braccio e mentre scendevano le scale Eita poté notare chiaramente l'occhiata delusa e quasi disgustata che Jin gli lanciò. Il senso di colpa per aver parlato, per aver rivelato al Seijoh la verità si fece pressante e Semi non resse lo sguardo di Soekawa.

Quando riprese conoscenza, la testa di Kenjirou girava. Aprì con fatica gli occhi e si guardò intorno confuso – non aveva mai visto quella stanza, men che meno il ragazzo che stava seduto di fianco a lui. Doveva avere l'età di Eita e lo fissava intensamente con i suoi occhi, di un color verde oliva come i capelli tagliati corti. Per un attimo ci fu silenzio, poi lo sconosciuto parlò.
«Come ti senti?» Kenjirou si mise seduto, lasciando che il busto emergesse dalla grossa vasca da bagno dentro cui era sdraiato. Su guardò le braccia e si sfiorò con due dita la pancia. Sentiva la pelle secca e la sentiva bruciare leggermente, ma non era qualcosa di estremamente doloroso o insopportabile – più un fastidio di sottofondo. Avrebbe dovuto stare sulla difensiva e sul vago e lo sapeva, ma quel ragazzo era come un libro aperto a guardarlo e gli venne spontaneo domandarsi come avrebbe mai potuto fargli del male – dal suo sguardo riusciva a cogliere tante sfumature, ma di certo nessuna che potesse portare ad accenni di violenza.
«Bene.» mormorò, poi si ritrovò a parlare prima di poter frenare la lingua, come un riflesso involontario. «Semi dov'è?»
Si domandò velocemente perché, tutto d'un tratto, gli importasse di Eita Semi, la stessa persona che aveva confessato di starlo mandando a morire mentre lo torturavano. Tuttavia, di quella tortura, ricordava solamente il momento in cui il biondo aveva deciso parlare per evitare che lo uccidessero o gli facessero altro male. Forse era per quello che voleva sapere dove fosse, ma ancora non sapeva se lo avrebbe ringraziato o preso a pugni quando lo avrebbe visto.
«Sta riposando nell'altra stanza.» rispose Wakatoshi, senza staccare gli occhi da Shirabu. «Mi hanno raccontato di te.»
«Ah, si? E cosa ti hanno detto, che sono il vostro lasciapassare per la libertà?» Kenjirou non aveva intenzione di rispondere tanto male, ma non riuscì a mascherare l'acidità nel suo tono.
«All'incirca, si.» rispose l'altro. Shirabu fu tentato dal tirargli un pugno. Come poteva essere tanto tranquillo nel parlare della sua morte? Certo, per lui Kenjirou non era altro che uno sconosciuto, ma era pur sempre un essere vivente. Eita non poteva averlo tenuto in vita veramente solo per poterlo consegnare alle autorità inglesi, non riusciva a crederci. Doveva esserci dell'altro, doveva.
Kenjirou abbassò lo sguardo. «Capisco. Allora puoi anche andartene.»
«D'accordo.» Wakatoshi si alzò e fece per andarsene, ma la voce di Kenjirou lo bloccò sulla soglia della porta.
«Quanto sono stato incosciente?» domandò di getto, perché ricordava vagamente di essersi svegliato nel bel mezzo di un incendio e di aver perso conoscenza poco dopo.
«Due giorni. Domani arriveremo in Inghilterra. Se hai bisogno di qualcosa, chiama pure.» e detto ciò se ne andò. Kenjirou ripiombò in mezzo all'acqua e gli venne da ridere. Se quello era il suo ultimo giorno di vita, beh... tanto valeva passarlo all'aria aperta.

Nota autrice
🌟Mpreg SemiShira Medieval AU🌟 o 🌟post-mpreg SemiShira post-timeskip🌟?
Eevee

The Legend From The Sea||SemiShiraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora