Busan, 25 Settembre 1953
Quando appresi di questa vicenda ne rimasi sconvolto, abituato com'ero all'espressione seriosa del mio Signore e alla Sua diligenza nel compiere ogni singolo compito spettante al proprio ruolo, senza mai mostrare una qualsivoglia emozione.
Ammisi di non crederci subito, e tantomeno narrai di essa in alcun modo, quando ne venni a conoscenza. Mi ci volle del tempo per metabolizzarla.
Eppure quel giorno vidi i loro occhi incontrarsi per quell'ultima, dolorosa, volta ed assistetti ad uno spettacolo che mai potei anche solo immaginare prima.
Ho lavorato per venti lunghi anni al Suo cospetto e mai lo vidi piangere, né di commozione né tanto meno di tristezza.
Non pianse al suo matrimonio, non lo fece quando strinse suo figlio per la prima volta fra le braccia, dai suoi occhi non fuoriuscì una lacrima neanche quando perse la moglie.
Sul Suo viso era sempre dipinta un espressione impassibile, la stessa che mi convinse a lavorare come amministratore delle Sue proprietà, considerando la serietà che trasmetteva.
Ho per lungo ammirato quella maschera di cera, forgiata a regola d'arte, ed ho dimenticato che pure Egli era un essere umano, ed in quanto tale possedeva emozioni e ricordi.
Mi raccontò questa storia in punto di morte, Suo figlio ormai adulto sul fronte a combattere, che non arrivò in tempo per udire il Suo ultimo respiro.
Non che i due avessero un gran rapporto, il mio Signore sembrava privo di emozioni nei confronti di ogni persona, figlio compreso.
Quella fatidica notte appresi che non ne era privo, ma ne era stato prosciugato, ed esiste una differenza sostanziale fra le due cose.
Quella notte io ero l'unico al fianco del Suo capezzale, l'unico disposto ad ascoltare quello che Egli non aveva mai raccontato a nessun altro essere consenziente.
Forse perché privo di coraggio oppure perché custodiva quella storia tanto gelosamente che metterla in parole l'avrebbe rovinata, sporcata dalla cruda realtà del momento. Probabilmente ambe le cose.
Io volli ascoltarlo, volli delle risposte su quel cugino straniero per cui avevo visto piangere il mio Signore. Compiendo quell'atto che trovavo impossibile.
Non so cosa ne sarà di questo scritto, forse un giorno troverò la voglia di pubblicarlo usando diversi nomi, forse lo faranno i miei figli quando morirò, e cercando fra le mie cose troveranno questo diario e leggeranno di questa vicenda trovandola interessante.
Forse la storia di Jimin e Taehyung non verrà mai alla luce, ma io sento il bisogno di metterla per iscritto lo stesso.
Perché l'Amore vero è così difficile da trovare, molte persone non ci riescono neanche, che non ritengo giusto che una storia che narra proprio di esso non venga raccontata.
•••
Si conobbero nell'anno in cui compirono dodici anni, i primi soli caldi e l'aria marzolina fecero da sfondo a quell'incontro, che poteva parer insulso a primo avviso, ma che avrebbe condizionato drasticamente le sorti dei due futuri amanti.
Jimin, quel giorno, era stretto in una casacca troppo pesante per le temperature primaverili italiane ma tremava lo stesso come un petalo scosso dal venticello fresco.
Era gracile, dalla pelle diafana e con gli occhi gonfi di lacrime, lo sguardo triste di un bambino che non poteva scegliere per la propria vita e si trovava imprigionato in un destino non voluto.
Taehyung s'ergeva sulla bianca scalinata del palazzo materno, vestito di tutto punto nella sua inamidata camicia di lino che lasciava scorgere le forme magre, non ancora toccate dalla pubertà. I capelli mossi dal vento gli conferivano un'aria sbarazzina che avrebbe abbandonato definitivamente negli anni venturi.
STAI LEGGENDO
geranio rosso cupo || vmin
FanfictionSiamo agli inizi del 1900, un bambino coreano si ritroverà dall'altra parte del mondo, in Italia, obbligato dal padre. Cosa succederà se nel bel paese incontrerà Amore, con la maiuscola, e soprattutto come questo influenzerà la sua vita futura? top...