Capitolo 12- Dopo è un salto nel vuoto

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«Ti ricordi di quando eri una Vittima?»
La barca oscillava placida sopra il manto d'acqua scura e cristallina.
Emeline stava sdraiata tenendo il mento poggiato sul braccio piegato, mentre con la mano libera sfiorava l'acqua senza mai toccarla, osservando il suo riflesso.
Quando parlò, voltandosi, il suo viso incontrò un chiaro raggio di sole che le illuminò i lineamenti con dolcezza.

«Certo che lo ricordo. È iniziato con quella lettera mentre ero a lavoro.» Theodore, invece, non aveva paura a toccare l'acqua gelida del lago e ad accarezzare le foglie spesse e verdi delle ninfee, con cui in quel momento giocava distratto.

«Era il 1966» ricordò Emeline, sorridente, «e lavoravi per un servizio porta a porta di enciclopedie.»

Theodore rise imbarazzato, come se volesse dimenticare parte del suo passato, «e poi sono arrivato a Fostemoon a Novembre, proprio per l'inizio delle estrazioni.»
Guardò il cesto di vimini semi aperto oscillare, mostrando al suo interno una bottiglia di vetro contenente del vino scuro e altre vettovaglie.

Emeline si sdraiò di più, buttando il collo all'indietro per osservare il cielo sopra di lei.
Le nuvole candide ed eteree si muovevano lente e maestose, e lei, con quel suo abito da pomeriggio bianco e impalpabile, sembrava essere fatta della loro stessa sostanza.
«Sei rimasto per vent'anni.»

«Vent'anni in cui è finita male» disse Evander, ma nel suo tono non sembrava esserci risentimento.

«Vent'anni in cui è finita come doveva finire. Ma il ventesimo anno ho scelto te e non l'altro straniero.» Sbirciò nella cesta per qualche secondo, con un'espressione calma e leggermente corrucciata in volto.
Poi trovò il barattolo di vetro che cercava, colmo di piccoli biscotti con al centro dei canditi verdi e rossi.

«E lì ho capito che l'estrazione era una grande illusione.» Theodore incrociò le braccia, reggendosi al bordo della barca quando quella oscillò più del dovuto.

Emeline scacciò quell'affermazione con un gesto della mano, «solo perché non è mai uscito un cittadino, non vuol dire che non possa accadere.»

Evander la osservò per qualche attimo, sorridendo appena.
Ora il sole si era spostato, lasciando Emeline nell'ombra come un quadro impressionista, e spostandosi sul volto di Theodore.
«È da quando tutto è incominciato che alle estrazioni esci sempre tu e lo straniero, e in seguito il sindaco e l'altro straniero. Per i vent'anni in cui sono stato a Fostemoon, è sempre stato così.
Ed è sempre successo che il ventunesimo anno gli stranieri sarebbero cambiati, perché l'anno prima il sindaco veniva rimpiazzato dallo straniero che sceglievi-»

«Va bene, ho capito» Emeline fermò quel monologo con una semplice e secca frase.

Evander aveva continuato a parlare senza accorgersene, buttando fuori la realtà dei fatti e  al contempo le sue paure.
«Quello che non capisco è come farai a fare in modo che smetta di essere così.»

Emeline prese un biscotto, ma non lo mangiò.
«Per molti anni ho seguito le regole che mi ero imposta fin dall'inizio, ovvero che la triade doveva essere rinnovata o tutto sarebbe andato perduto. Ma se non fosse così? Se potessimo mantenere viva Fostemoon anche senza dover cambiare per forza una delle figure alchemiche?» chiese, retoricamente, mentre osservava il pasticcino, contemplandolo.

«È molto rischioso.» Riuscì solo a dire lui, mentre spostava lo sguardo dai monti lontani fino alla boscaglia che collegava il lago al paese.

«Certo che è rischioso» lo rimproverò Emeline, «ma preferisci la morte?» era una domanda semplice e terribile.
La cosa che più spaventava Theodore Evander era la morte.
Morire, sapendo di non aver vissuto abbastanza, sapendo che nessuno lo avrebbe ricordato e sapendo che non c'era rimedio.
Era l'ossessione che lo avrebbe spinto a infrangere le regole dell'alchimia e a rischiare tutto.

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